Gravity, Iris, ore 21,00. Domenica 19 marzo 2017.
Due lavoratori dello spazio, un uomo e una donna, finiscono alla deriva dopo un guasto alla loro nave. Ce la faranno? Cronaca di un’odissea umana, molto umana, per salvare la pelle lassù, a 700 chilometri di dalla terra. Gli effetti speciali piegati a un racconto di sopravvivenza e ritorno a casa. Una bella scommessa, un bel film. Formidabile Bullock. Parecchi Oscar vinti, enorme e inaspettato successo al box office globale. Voto tra il 7 e l’8
La deriva nello spazio di due lavoratori qualunque di una qualunque stazione spaziale americana in avaria, poi colpita anche – le disgrazie non arrivano mai sole – da una tempesta di detriti da collisione tra oggetti spaziali russi. Due uomini muoiono, sopravvivo il cazzeggione Matt (Clooney, chi se no), battutaro compulsivo e incallito che non risparmia storie e amenità anche nei peggio e più disperati momenti tra i cieli, e la dottoressa Ryan, il vero tecnico di bordo, una bravissima Sandra Bullock che si prende su su sé il peso del film e lo porta vittoriosamente alla conclusione. Dimenticatevi gli effettacci speciali mostruosamente dilatati, gli alieni a bordo, dimenticatevi le varie guerre dei robottoni, e le scoperte di pianeti sconosciuti e meravigliosi e/o insidiosi. Qui siamo lontano da ogni sci-fi iper spettacolarizzata e pure da quella con voglie altamente metaforizzanti. Film quasi naturalistico su gente qualsiasi, solo che le circostanze in cui si muovono sono straordinarie e l’avventura nasce da qui, dalla differenza tra i due elementi narrativi. Il bello di Gravity è la riduzione all’umano, allo stretto umano, di ogni narrazione fantascientifica, con un movimento di racconto dal fuori al dentro, dal macro al micro, che è il percorso esattamente opposto a ogni cinema fantastico/sci-fi. Un uomo e una donna dispersi, e la loro lotta per la sopravvivenza lassù a 700 chilometri da terra. La nave spaziale si guasta, due compagni non ce la fanno, i due sopravvissuti vagano nel vuoto attaccati da un cordone ombelicale, ma verrà il momento in cui sarà necessaro separarsi. L’obiettivo è salire su quel che resta di una nave spaziale russa, ma anche quella è avariata e non consentirà mai un ritorno a terra. Da lì l’unica speranza è puntare su una nave cinese a 100 chilomeri e attraverso quella tentare il rientro. Qualcuno ci riuscità, qualcuno di perderà nello spazio. I gesti, minuto per minuto, tra la morte e la vita. La disperazione, la speranza. Cuaron spoglia di orgni orpello anche narrativo, di ogni ridondanza, e ci consegna un’odissea nello spazio vicino di gente come noi. Nessuna epica. Nesun eroismo. Solo la quaotidianità spaziale. Pioggia di Oscar e molte milionate di dollari al box office globale.
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