Lebanon di Samuel Moaz, Rete 4, ore 0,29. Mercoledì 22 marzo 2017.
Questo gran film israealiano si è portato via, meritatamente, il Leone d’oro a Venezia 2009 per poi inabissarsi nella semiclandestinità. Pochissimo visto nei cinema italiani, scarsissima circolazione anche all’estero, dove pure c’era da attendersi un’accoglienza migliore e la massima attenzione. Probabilmente gli ha nuociuto di venire subito dopo un altro formidabile film, sempre israeliano, che tratta lo stesso tema, la guerra in Libano del 1982. Mi riferisco a Valzer con Bashir del 2008, che attraverso l’animazione metteva in scena gli incubi di un reduce di quella disgraziata campagna bellica (e del correlato massacro nei campi palestinesi di Sabra e Chatila), qualcosa che ha prodotto una ferita non del tutto rimarginata nemmeno oggi nella coscienza di Israele.
Lebanon ci racconta quell’invasione, dal sud Libano su su fino alla periferia di Beirut, attraverso lo sguardo e le storie di quattro soldati chiusi in un carrarmato. Incontro e scontro classicamente teatral-drammatico tra caratteri diversi, intrappolati nello stesso spazio claustrofobico. Nessuno di loro ha una gran voglia di fare la guerra, se ne stavano tanto bene e tranquilli nella loro vita borghese, ma quello devono fare, e a quello non si sottraggono. Quasi tutto il film di Samuel Moaz, ed è questo stilisticamente l’aspetto più interessante, si svolge nel chiuso del blindato e l’esterno è quasi sempre visto attraverso il mirino del puntatore manovrato dall’artigliere, sicché anche noi spettatori vediamo solo schegge di realtà, frammenti, e stentiamo come i soldati dentro a percepire e riconnettere l’insieme. Gran trovata anche linguistico-narrativa, che ci comunica un senso angoscioso di menomazione, come se il nostro sguardo e la sua libertà di cogliere il reale fossero impediti, inibiti, da una forza schiacciante. Sangue, battaglie, spesso percepite come causali e insensate. L’incontro con un ambiguo ufficiale libano-maronita. Un massacro di civili. Il rischio di rimanere isolati e staccati dal resto della colonna. Una pausa in riva al mare. I blindati come arenati in un campo. Bellissimo, questo Lebabon, capace anche di svelarci molto dell’inquieta coscienza israeliana. Sottovalutato, mal visto (forse perché israeliano e dunque bersaglio del pregiudizio antisemita ammantato di antisionismo?), da vedere. Da allora non si son visti altri film di Samuel Moaz, il quale solo recentemente si è rimesso dietro la mdp per girare Foxtrot, possibile presenza al prossimo Cannes.
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