IsTintoBrass, Cielo, ore 23,10. Domenica 26 marzo 2017.
Gran documentario, presentato a Venezia 2013 sezione Classics, su una carriera e una vita speciali e sempre fuori rango, sempre oltre la corrente di mezzo, quelle di Tinto Brass. Chissà perché entrato nella cultura pop(olare) quale pornografo feticista del lato B e invece regista tra i più complessi e stratificati che il nostro cinema ci abbia dato a partire dagi anni Sessanta. Certo, un unicum, un inclassificabile, perché Brass ha fatto di ogni nel cinema, gli avanguardismi nouvellevaguistici in versione italica (e veneto-lagunare) e film di eros insieme funereo e trionfante di enorme impatto sulle platee, come La chiave e Miranda. Difficile afferrarlo. Ci prova questo film di Massimiliano Zanin, che va a indagare anche i quasi sconosciuti esordi di un Brass cinefilo e cinemaniaco nella Parigi tra Cinquanta e Sessanta intossicata di passioni schermiche che ruotava intorno alla Cinémathèque e aveva in Godard e Truffaut i suoi alfieri e guerrieri. E poi, i primi film anarco-ribellistici, come Chi lavora è perduto, e la collaboirazione ovviamente tempestosa con Dino De Laurentiis (i film Il disco volante e La mia signora, con una meravigliosa Silvana Mangano e Alberto Sordi). E la stagion optical-pop londinese (Nerosubianco, Col cuore in gola), e il clamoroso Caligola, il suo film maledettissimom diventato un cult universale per le favoleggiate orge (vere? presunte?) sul set. E Salon Kitty, e poi la stagione della Chiave. Parlano molti di coloro che hanno lavorato con lui, da Franco Nero a Vanessa Redgrave, Adriana Asti, Helen Mirren (era in Caligola), Serena Grandi, lo scenografo di James Biond e di Kubrick Ken Adam. Parlano i critici (Marco Giusti, Manlio Gomarasca) e i signori dei festival (Olivie Père, Marco Müller). Ma c’è anche il figlio Bonifacio tra i testimoni, e val la pena ascoltarlo perché del Brass privato poco si è sempre detto e saputo.
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