Neighboring Sounds, di Kleber Mendonça Filho. Con Ana Rita Gurgel, Caio Almeida, Maeve Jinkings, Dida Maia, Felipe Bandeira. Sezione A Good Neighbour.
Film del 2012 del regista brasiliano impostosi alla grande l’anno scorso a Cannes con Aquarius. E che di Aquarius anticipa parecchio, però con meno piacioneria e più sottigliezza. Voto 7+
Avvertenza minima: queste mie recensioni-opinioni dall’IKVS Film non seguono un ordine crnologico di visione, piuttosto una sequenza capricciosa e lunatica, insomma dipende da quale film mi vien voglia di recensire quando ho il tempo di mettermi al computer. Neighboring Sounds, del 2012, è il film che precede Aquarius, gran successo lo scorso anno a Cannes (io non l’ho amato per niente, ma tant’è), del quarantanovenne brasiliano Kleber Mendonça Filho (e grandissimo ritorno della mitologica Sonia Braga). Ecco, frequentare qualche altro festival oltre ai soliti Cannes, Berlino e Venezia serve anche a recuperare cose non viste e quasi impossibili da vedere – nemmeno in rete – come questa. In my opinion, Neighboring Sounds è assai meglio di Aquarius, meno tradizionalmente narrativo, meno piacione, meno schematico e ideologico, più sottile e allusivo, pur presentando moltissime affinità di racconto con il gran successo cannense, e molto anticipandolo, configurandosi anzi quasi come un Ur-Aquarius. Siamo anche stavolta a Recife, immagino la città di origine di Kleber Mendonça Filho. Il quale, dicono quelli che il Brasile lo conoscono bene, appartiene a una delle famiglie più influenti del paese benché lui si collochi sull’ala sinistra dello schieramento politico, tant’è che a Cannes l’anno scorso con i suoi amici e collaboratori e attori ha inscenato sul tappeto rosso una manifestazione volante (innalzando cartelli con la scritta “In Brasile è in atto un colpo di stato”) contro l’impeachment della presidente Dilma Rousseff.
In Neighboring Sounds tutto ruota, come nel film successivo, intorno a una zona residenziale borghese, ma insidiata da numerose minacce, un’isola felice in procinto di non esserlo più dove famiglie di media, buona e alta borghesia vivono asserragliate protette da muri e vigilantes. Come nel profetico Il condominio di J.G. Ballard. Come in molte parti dell’America Latina, dove il territorio urbano e extraurbano è disseminato di enclave affluenti separate dal resto del territorio. Naturalmente anche in questo film, come poi in Aquarius, ci sono magioni assai vissute e meravigliosamente delabré che stanno per essere distrutte dalla speculazione slevaggia e dall’arroganza del nuovo. L’attenzione è sui microcosmi di famiglia incapsulati nella zona residenziale, su chi ci abita e chi ci lavora, sulla rete delle relazioni di vicinato, sulle amicizie, inimicizie, tensioni, rancori. Un piccolo ma solido affresco multifocale e mobile di storie che si allacciano e si strappano e si ricompongono. Come in infiniti film già visti, compresi quelli di Inarritu-Arriaga. C’è il padrone-patriarca, l’uomo che quel quartiere l’ha costruito e lo domina ancora da sovrano, ci sono i suoi due nipoti, uno onesto e laborioso e innamorato, l’altro sbandato. Oscure minacce da fuori. Strapppi alla legalità che nettono a rischio la sicurezza e sono preoccupanti segnali di come quel mondo protetto rischi di implodere. Dialettica servi e padroni, e servi contro padroni, e differenze di classe e gerarchie sociali rigidissime come ormai, così nettamente, vedi solo nel cinema latinoamericano (penso all’argentino Los Decentes, proiettato a Torino e adesso anche qui a Istanbul, o al più grande successo brasiliano degli ultimi anni, È arrivata mia figlia). Tutte le tensioni sotterranee – incluse quelle tra vigilantes e vigilati – che man mano Kleber Mendonça Filho esplora e fa affiorare produrranno, come è facile intuire, un’esplosione, una resa dei conti sanguinosa, mandando in frantumi l’ordine artificiale di quel piccolo mondo a parte apparentemente così sicuro di se stesso, e invece intimamente bacato. Molto, molto simile ad Aquarius, ma più sottile, più inquietante, con ampie zone di alluso e non detto, mentre Aquarius si presentava come racconto pieno, saturo, privo di sfumature e penombre. C’è qualcosa in Neighboring Sounds di Haneke, il senso di minaccia incombente, che nel film successivo di KMF si perderà. Bizzarria: nel film una signora per masturbarsi usa come vibratore la lavatrice in fase centrifuga.
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