Le donne e il desiderio (United States of Love – Zjednoczone stany miłości) di Tomasz Wasilewski. Con Julia Kijowska, Magdalena Cielecka, Dorota Kolak, Marta Nieradkiewicz, Łukasz Simlat. Distribuito da Cinema. In sala da giovedì 27 aprile.
Polonia, 1990. Il regime comunista è appena defunto, trionfa Solidarnosc. In questo passaggio si situano le storie di quattro donne variamente ossessionate dal desiderio e dal sesso. Film di un trentenne (vincitore dell’Orso d’argento per la sceneggiatura) che si avventura in un cinema complicato tra Fassbinder e Seidl, ma che fallisce l’impossibile missione cadendo spesso nel ridicolo. Però, con tanti suoi coetanei che ci raccontano cosucce giovanilistiche di nessun conto, lui almeno ci prova. Voto 5

il regista Tomasz Wasilewski
Ripropongo la recensione scritta dopo la proiezione del film alla Berlinale 2016, dove United States of Love (questo il titolo internazionale) ha poi vinto ilpremio per la migliore sceneggiatura.
In mancanza a questa Berlinale del solito film della polacca Małgorzata Szumowska, stavolta spostata in giuria, ecco arrivare l’opera di un suo conterraneo che molto ne ricorda i temi prediletti, i corpi ossessionati e compressi, fino al rischio esplosione, dalla società sessuofobica, l’incombere e la pervasività della morale cattolica. Temi a rischio, perché bisogna essere almeno Fassbinder per cavarsela su un terreno tanto scivoloso. Non lo è la Szumowska, lo è ancora meno il giovane Tomasz Wasilewski, trent’anni e qualcosa (ma ne dimostra meno), quasi un clone fisico di Xavier Dolan. Che è comunque riuscito ad agguantare, immeritatamente, un pezzetto di palmarès portandosi via l’Orso d’argento per la migliore sceneggiatura, e ci sarebbe parecchio da discutere (per dire, il finissimo script di Téchiné e Sciamma per Quand on a 17 ans, enormemente superiore, è stato ignorato dalla giuria, anzi è stato il film a essere completamente ignorato, lasciato scandalosamente privo del minimo riconoscimento).
In sede di conferenza stampa successiva alle premiazione il signor Tomasz Wasilewski s’è dimostrato furbissimo e abile nell’ingraziarsi la platea dei giornalisti, soprattutto delle giornaliste. Pensare che questo suo United States of Love è peggio che brutto, è imbarazzante. Pur ricorrendo a uno stile alto, rigoroso e distanziante (colori non saturi e come gessosi, rarefazione dell’immagine, andamento austero da sacra cerimonia), Wasilewski non ce la fa a evitare il ridicolo. Oltretutto ha l’ardire, l’incoscienza o la sfacciataggine di inoltrarsi in un cinema laido, a tratti repellente, alla Ulrich Seidl come ha giustamente notato LesInrocks – c’è un nudo frontale di una donna matura, una delle quattro protagoniste, che ricorda Paradies: Liebe -, mettendosi da solo nei guai per manifesta inadeguatezza a maneggiare la sordida materia. Siamo nella Polonia 1990 a muro di Berlino già caduto, Solidarnosc trionfante, regime comunista oramai defunto. In questo passaggio storico si situano le quattro donne di cui ci vengono raccontate le traiettorie. Due sorelle, la prima glaciale e severa preside di una scuola, la seconda titolare di un negozietto di videocassette. Le altre due sono vicine nello stesso palazzo: una matura ed eccentrica signora – quando si mette a tavola libera gli uccelli dalle molte gabbie che tiene in casa e li lascia svolazzare intorno (sarà mica una metafora?) – e una ex miss, ora frustrata insegnante di aerobica e aquagym in un centro fitness*. I segni dell’occidentalizzazione già ci sono tutti, nei modi di consumo e di comportamenti individuai e sociali, del comunismo sembra non essere rimasto niente, se mai è la Chiesa ad avere sempre una presenza forte. Ad accomunare le quattro donne è il desiderio, una sessualità fino ad allora frenata e repressa che adesso nel nuovo clima di libertà urla il proprio diritto a esistere e manifestarsi.
Le immagini dei video porno accuratamente nascosti negli scaffali della sua videoteca accendono i fantasmi mentali della proprietaria che, annoiata dal marito, trova nel pretino della parrocchia il suo nuovo oggetto del desiderio scatenandosi in fantasie di tonaca e sacrestia (e il regista non trascura di mostrarci, tanto per chiarire, il manifesto di Uccelli di rovo). La sorella preside invece ha un affair clandestino con un medico che però, quando resta vedovo, la lascerà per, si immagina, insostenibile senso di colpa. Ossessionata da lui, umiliata dall’abbandono, cercherà di vendicarsi innescando una catena di eventi drammatici. La follia da sesso possiede anche la matura signora, che scopriamo essere lesbica, e che cercherà di sedurre con l’inganno la vicina già miss. Di quei film che vorrebbero farsi denuncia della repressione sessuale e finiscono invece col mettere in fila una serie di quadri ora laidi, ora morbosi e compiaciuti, ora imbarazzanti (vogliamo parlare del fotografo che si masturba sulla ragazza addormentata?). Che poi, quale sarebbe il bersaglio di questo United States of Love? La morale cattolica? Il comunismo che per troppo tempo avrebbe congelato voglie e desideri? Il capitalismo corruttore? Non si capisce. Di quei film in cui basta un niente perché perdano l’equilibrio e si sfracellino al suolo, che se non si è degli acrobati meglio lasciar perdere. Purtroppo Tomasz Wasilwski non ha lasciato perdere. Devo però ammettere a qualche giorno di distanza dalla visione, che il film una sua traccia e un qualche turbamento li lascia dentro. Che bisogna riconoscere all’ambizioso (e non troppo simpatico) ragazzo di esserci cimentato con temerarietà in un’impresa difficile, in un cinema che non è quello giovanilistico di molti suoi coetanei, ma che punta in alto e vuole misurarsi con i grandi del passato. Se Tomasz Wasilewski tiene a freno narcisismo e piacioneria potrebbe la prossima volta darci qualcosa di buono.
*Updating. Dopo l’uscita itaoiana un lettore mi segnala una svista nel mio pezzo: a essere sorelle sono la preside e l’istruttrice di aerobica, non, come ho scritto, la preside e la venditrice di videocassette.
4 risposte a Recensione: LE DONNE E IL DESIDERIO, un film di Tomasz Wasilewski. Sessualità nella Polonia post-comunista