La cagna di Marco Ferreri, Rai Movie, ore 0,55.
(A vent’anni dalla morte di Marco Ferreri – Parigi, 9 maggio 1997 – continuano in tv, sui vari canali, le proiezioni dei suoi film).
Film estremo di quegli anni estremi che furono i primissimi Settanta. Chi non ha vissuto quel tempo non potrà mai capire veramente cosa sia stato quel clima di folle, anarchica libertà in cui tutto sembrava sperimentabile e possibile, in cui si esplorava ogni più lontano confine esistenziale e anche sessuale. Stagione irripetibile e a modo suo dannata, una stagione all’inferno di cui non è il caso di provare nostalgia e di cui restano ricordi, frammenti, qualche testimonianza, libri (non molti) e film (qualcuno di più). Oggi La cagna non lo farebbe, non lo penserebbe nessuno, semplicemente è qualcosa che si situa al di fuori degli orizzonti attuali, e un regista come Marco Ferreri non avrebbe cittadinanza. Quando girò La cagna (1972), tratto da un racconto di Ennio Flaiano, Melampus, Ferreri veniva da Dillinger è morto, forse il suo capolavoro vero, e aveva messo a punto e già perfezionato un cinema solo suo di fortissima carica derisoria, anarcoide, destrutturante, con parecchie deviazioni nel grottesco e nel surreale e però altamente stylish nella messinscena. Un Buñuel all’italiana, però senza la grazia e la leggerezza inimitabili del maestro, più feroce, anche più greve nonostante la confezione sempre impeccabile. Qui può contare addirittura sulla coppia (tale in quel momento anche nella vita) Marcello Mastroianni-Catherine Deneuve, che non esita un attimo a mettersi al servizio del suo cinema radicale. Lui è Giorgio, un artistoide che vive solitario su un’isola della Corsica scabra, lunare, flagellata da vento e onde. Per caso sbarca lì una borghese di nome Liza, finiscono naturalmente col fare l’amore. Ma lei è gelosa delle eccessive attenzione che Giorgio ha per il suo cane Melampo, così uccide l’animale per poterne prendere il posto e diventare finalmente l’unico oggetto di devozione da parte dell’amato. Solo che dovrà comportarsi come una cagna, ridursi a bestia, soggiacere agli ordine del padrone, leccarlo e blandirlo come un cane. Ecco, ve la immaginare oggi una storia così in un film di massa? Dico, una storia di puro sadomasochismo. Eppure allora era consentito, e a interpretarla c’erano anche due divi massimi. Me lo ricordo molto disturbante anche per i canoni alquanto rilasciati del tempo, non so se ho la voglia di rivederlo. Le scene di Liza-Deneuve ridotta a cagna sono semplicemente insostenibili.
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Anch’io lo ricordo come un film “disturbante” e forse non desidero rivederlo !