The Meyerowitz Stories (New and Selected), un film di Noah Baumbach. Con Adam Sandler, Ben Stiller, Dustin Hoffman, Emma Thompson, Elizabeth Marvel. Concorso.
Tre fratelli si ritrovano a New York in occasione di una mostra dedicata al padre scultore. Saranno baruffe e rinfacci, come si conviene al genere della comedia newyorkese-yiddish codificata e resa classica da Woody Allen. E che ha in Noah Baumbach uno dei suoi epigoni. Purtroppo siamo al di sotto delle attese: The Meyerowitz Stories procede sciolto e brillante, ma senza la minima sorpresa. Su tutti Emma Thompson e Adam Sandler. Voto 5+

Dustin Hoffman con Noah Baumbach
Un cinque anni fa sarei impazzito per questo film. So witty! E che dialoghi signora mia, che così smart e acuminati noi in Italia ce li sogniamo nella nostra commediucola. Con quelle belle famiglie malfunzionanti e lesionate ebraico-newyorkesi che han fatto la fortuna di Woody Allen (e pure la nostra di spettatori, ché ci siamo tanto riflessivamente divertiti) e poi replicate da Wes Anderson (I Tenenbaum, ma anche Il treno per il Darjeeling) e più recentemente da Noah Baumbach. Peccato che si cominci a non poterne più di tanta intelligenza e tanta bella scrittura profuse per raccontare i soliti fratelli coltelli però assai chic benché variamente falliti e male adattati al mondo, e i soliti genitori che divoran la prole esigendo troppo dai pargoli e finendo col poco ottenere. Sicché alla prima riunione di famiglia, che sia per matrimoni, funerali, anniversari, celebrazioni varie, è tutta una resa dei conti, tutto un rinfaccio, e però sempre in belle case e buttandosi addosso citazioni assai fini, Freud Cechov Kafka ecc. Ecco, The Meyerowitz Stories (New and Selected) – che sottotitolo squisito – è esattamente questo modello riproposto con apparente brillantezza da Noah Baumbach – che aveva fatto di meglio, ad esempio con Frances Ha e Mistress America (sarà merito di Greta Gerwig?) – e vera stanchezza. Si segue il teatrino della famiglia Meyerowitz come studenti che conoscono fin troppo bene la materia, e dunque senza il minimo sussulto, la minima sorpresa. Personaggi: il padre-patriarca, uno scultore di medio successo (e le sue cose, a vederle, non sembrano un granché, sorpassatissime) interpretato da Dustin Hoffman con barba biblica; la sua quarta moglie, una sciroccata frikkettona rimasta tale-e-quale agli anni Settanta (una molto divertente Emma Thompson); i tre figli, due maschi e una femmina. La femmina e il maschio maggiore se ho ben capito avuti dal patriarca dalla prima moglie, l’altro maschio dalla seconda (o dalla terza? Le mappe familiari di questo Cannes son piuttosto complicate, vedi anche Happy End di Haneke). Dunque: il clan si è eccezionalmente riunito per celebrare papà cui stanno per dedicare una personale, anche se il sistema dell’arte non se lo fila mica più di tanto (e son frustrazioni, ovvio, per il quasi vegliardo). Il figlio grande, musicista mancato, è reduce da un divorzio ed è abbastanza distrutto dentro. L’altro invece è il figlio di successo, il figlio socialmente riuscito, avendo fatto carriera d’avvocato a Los Angeles. La figlia invece ha un lavoro qualunque, come capita alle femmine di questo genere cinematografico che son le più sacrificate sull’altare della famiglia nonostante i loro talenti artistici. Poi c’è la figlia del figlio maggiore, carina, simpatica assai, che sogna di fare cinema e intanto si arrangia a girare filmetti genere porcone-intellettual-spiritoso con le amiche. Non succede granché, anzi quasi niente, solo scaramucce, no scontri sanguinosi e laceranti come ci si aspetterebbe. Si sorride qua e là. Ci si affeziona ai personaggi. Ci si annoia nobilmente, et c’est tout. Stampa internazionale inneggiante a Adam Sandler (è il figlio grande) finalmente tornato dopo tante cose ignobili al bel cinema, pure dimagrito e in forma. Il ritorno del figliol prodigo. Sì, bene, benissimo, ma basta a fare di The Meyerowitz Stories un film interessante?
Dimenticavo: secondo e ultimo titolo Netflix di questo Cannes, e i fischi all’apparizione del marchio stavolta son stati meno che per Okja.
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