Prisoners di Denis Villeneuve, Rete 4, ore 21,17. Giovedì 8 giugno 2017. Prima tv.
Prisoners, regia di Denis Villeneuve. Con Hugh Jackman, Jake Gyllenhaal, Paul Dano, Maria Bello, Viola Davis, Terrence Howard, Melissa Leo.
Il regista canadese del memorabile Incendies torna con un altro film di famiglie sconvolte e patologie familiari. Due ragazzine vengono rapite, il padre di una di loro rapirà a sua volta il presunto colpevole (o presunto innocente) per farlo parlare. Ragazzi che sembrano e forse sono mostri, uomini probi e perbene che man mano si trasformano in belve. Voto 7+
Del québecois Denis Villenueve ho adorato Incendies – la donna che canta, film tra i più influenti degli anni Duemila, passato sottotraccia a Venezia qualche anno (alle Giornate deegli autori, neanche nelle sezioni ufficiali) e poi rapidamente diventato un culto nei circuiti arthouse arrivando a sfiorare l’Oscar come miglior film in lingua straniera. Qualcosa di quella formidabile riuscita si ritrova in Prisoners, che di Villeneuve segna il ritorno al cinema dopo Incendies, e il debutto in lingua inglese. Di nuovo la famiglia – le famiglie anzi – come territorio di ogni possibile tragedia e incubatrice di pulsioni e desideri inconfessabili, come germinatrice di comportamenti estremi fuori da ogni controllo. Due ore e mezzo, tanto dura (e dura un po’ troppo) Prisoners, che conferma il talento di metteur en scène di Villeneuve, ormai un piccolo maestro nella costruzione di ambienti clautrofobici, atmosfere plumbee, disagi e deviazioni psichiche, e nel tenerci avvinti con le sue discese perigliose negli abissi della mente, e nelle abiezioni. Film rispettabile, che cerca di mantenersi in equilibrio sul crinale tra prodotto mainstream assai accessibile – difatti sul mercato nordamericano ha finora incassato più di 60 milioni di dollari – e ambizioni autoriali.
In un’area residenziale-middle class del New England, flagellata da nebbie e piogge e varie cupezze non solo meteorologiche, due famiglie amiche – la seconda, dettaglio sociologicamente interessante, di afroamericani presentati senza il minimo stereotipo etnico – cadono in contemporanea nel precipizio della disperazione allorquando le loro due figlie coetanee scompaiono misteriosamente. Si fa largo subito l’ipotesi del rapimento da parte di un maniaco. Un bravo e scrupoloso detective (Jake Gyllenhaal) indaga, e i sospetti si indirizzano subito su un ragazzo palesemente disturbato, solo che di prove contro di lui non c’è manco l’ombra, impossibile arrestarlo. Emergono intanto altri segreti inquietanti della piccola città, storie di ragazzini spariti, e preti ovviamente pedofili secondo lo stupido cliché antiecclesiastico e anticattolico che si è ultimemente e universalmente imposto (e questa concessione a certi pregiudizi di massa è la parte peggiore di un film non certo grossolano). Il padre di una delle ragazzine sparite – un Hugh Jackman più roccioso che mai – non accetta quella che ai suoi occhi è l’impotenza della polizia, la rinuncia della giustizia a fare fiustizia, e rapisce il maggior indiziato, quello che lui rietiene sicuro copevole. Siamo alla vendetta privata, al cittadino che si fa giustizia da solo tra il Charles Bronson e i nostri poliziotteschi anni Settanta. L’esasperato e disperato padre lo torturerà, gliene farà di ogni, per estorcergli la confessione di dove le ragazzine sono tenute prigioniere. Già, ma quel pur repellente essere tenuto recluso in una scuola abbandonata e massacrato è davvero il colpevole? Sarà solo il primo step di una ricerca della verità che dovrà attraversare veri e falsi indizi, depistaggi e ingannevoli piste, tra continui rovesciamenti e colpi di scena e torsioni narrative. Un thriller come non se ne vedevano da un po’, plumbeo, malato e allarmante al punto giusto. Il nocciolo drammaturgico, e la parte che più sgomenta, resta però la trasformazione del bravo citadino e del padre amorevole in torturatore e potenziale assassino lui stesso. Prisoners si pone esplicitamente come racconto morale, inducendo in noi spettatori qualche riflessione utile e per niente banale sul confine sottile e facilmente valicabile che divide l’uomo civilizzato dal barbaro, anzi dalla bestia, e sulla liceità o meno di ricorrere a mezzi forti qualora ci sia di mezzo la salvezza di vite umane (che è poi l’interrogativo posto da Guantanamo, waterboarding ecc. E mica per niente il rapito viene sottoposto alla tortura dell’acqua). Quando il film si muove in questi territori dell’ambiguità e dei dilemmi etici dà il suo meglio. A convincere di meno è quando imbocca la stada del thriller più di genere, nella sua versione maniaco-serial thrriller, che sembra quasi di tornare ai tempi di Seven, Il silenzio degli innocenti o Zodiac, e l’impressione è di una trama un po’ sdata, déjà vu e fuori tempo massimo. Finale sospeso, minaccioso e debitamente ansiogeno. Se Prisoners si fosse liberato di certe convenzionalità di racconto sarebbe potuto diventare un grandissimo film. Resta qualcosa di asai rispettabile e di abbastanza anomalo. Ottima occasione per Hugh Jackman, da lui sfruttata a dovere. Gyllenhaal è al solito adorabile. Viola Davis come mater dolorosa finalmente dopo un po’ di filmacci trova una parte degna di lei. Paul Dano notevole come presunto mostro, Melissa Leo ancora una volta in un ruolo di mamma patologica e castrante.
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