La gatta sul tetto che scotta, Iris, ore 21,00. Sabato 24 giugno 2017.Succulentissimo, turgido, obbligatorio melodramma fine anni Cinquanta tratto da Tennessee Williams, e tra i suoi più tipici, un crogiolo bollente di sesso, repressione, sudati climi sudisti, conflitti familiari, omoerotismi inespressi eppure così potenti da segnare e distruggere vite e matrimoni. Di quei film (e di quel teatro) come oggi purtroppo non è più possibile fare, essendo cambiati radicalmente cornice culturale e modelli socio-esistenziali di riferimento. Eppure La gatta sul tetto che scotta, come molti altri Tennesseee Williams-movies (da Improvvisamente l’estate scorsa a La scogliera dei desideri di Losey) resta un racconto in grado di parlarci ancora, di scuoterci e risucchiarci nel suo gorgo. Anche grazie a una lingua così sontuosa e barocca, e gonfia di allusioni e sottotesti, da resistere perfino alla traduzione e al doppiaggio. Sud profondo, profondissimo: laggiù nel Mississsippi si consumano i drammi della famiglia Pollitt. Padre-padrone autoritario fino alla violenza psicologica, sovrastante e dominante come un patriarca biblico. Un figlio, Brick, roso dal malessere, dall’insicurezza oltre che dall’alcol, uomo interrotto e fallato, disperato da quando il suo migliore e adorato amico si è suicidato per colpa sua, dopo che lui, Brick, gli ha portato via la donna amata, ovvero Maggie, Maggie la gatta. Paul Newman, che è Brick in una delle performance più estreme della sua carriera, bello e perduto e perdente, attraversa il film ferito alle gambe, sorreggendosi alle stampelle, metafora fin troppo trasparente del suo stato psichico malmesso. È che con Maggie va disastrosamente. Nonostante il codice Hays ancora imperante, il quadro emerge abbastanza chiaro: non fanno più l’amore per l’impotenza di lui, o forse per la sua omosessualità, per la passione che ancora coltiva per l’amico defunto. Williams in una simile costellazione psichica si muove al suo meglio, alimentando scontri tra marito e moglie, tra padre e figlio, al calor bianco e di lancinante ferocia. Memorabile la scena in cui la madre batte la mano sul materasso e proclama di fronte a Brick e Maggie: “È qui che si vede se un matrimonio funziona o non funziona”. Questi sì che erano film che trasmettevano erotismo. Elizabeth Taylor come moglie sessualmente insoddisfatta è semplicemente grandiosa, Paul Newman è forse troppo bello e troppo indubitabilmente virile per un ruolo così ambiguo, Burl Ives è il patriarca. Meraviglia, comunque. Regia di Richard Brooks, autore alieno da smancerie e sentimentalismi e capace di un approccio duro e crudo, e qui in uno dei suoi risultati migliori. Poi, che titolo immaginifico. Se ne facessero ancora.
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Perfettamente d’accordo sull’analisi del film. Bei melodrammi però se ne fanno ancora , e il cinema americano ne è sempre prodigo, mi sembra ( Cianfrance, per esempio ). Non ce ne sono più di impianto teatrale, questo è vero. Dopo Tennessee Williams, in effetti quel genere , a teatro, non si vede più.
sì, di mélo ce ne sono ancora (e la citazione di Cianfrance è assai pertinente), ma facciamo fatica a crederci, ecco.
Non ho letto la Sua critica su ” The light between the oceans “.A me sembra un gran bel film , come il precedente , del resto ( ” Come un tuono “, ovvero ” The place beyond the pines ” )
siamo tra i pochi, pochissimi ad aver apprezzato The Light between the Oceans
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