Il giorno più lungo, la7, ore 21,30. Giovedì 13 giovedì 2017.
Un pezzo di storia del cinema, comunque lo si guardi. Il vertice del cinema bellico anni Cinquanta-Sessanta, quando l’America ancora credeva in se stessa e nella propria missione salvifica autocelebrandosi in colossal hollywoodiani che facevano esplodere il box office globale e veicolavano i valori a stelle e strisce in tutto il mondo. Film come Il giorno più lungo, con gli Usa a incarnare senza dubbi e lacerazioni interne il Bene contro il Male assoluto (rappresentato dal nazismo, of course) oggi non si fanno più, non si possono più fare. Oggi il cinema bellico-patriottico è considerato sconveniente e scorrettissimo, improponibile, impraticabile. Per ritrovarlo bisogna andare in altre cinematografie, come quella sud coreana, di cui sta per arrivare sui nostri schermi Operazione Chromite che celebra con orgoglio nazionale e senza sensi di colpa un episodio della guerra anni Cinquanta contro la Corea del Nord e i suoi alleati Cina e Unione Sovietica. Mentre il cinema euroamericano va, ormai da decenni, da tutt’altra parte, con il film bellico che si fa denuncia e condanna dell’inutile strage, di una hybris, di una volontà di potenza produttrice non di gloria, non di liberazione di popoli, ma di sofferenze e sangue. E l’imminente Dunkirk di Christopher Nolan sicuramente confermerà questa narrazione. Ecco, Il giorno più lungo – anno 1962 – è di un’altra era, ricostruendo con orgoglio, benché senza arroganza, e con i mezzi colossali mezzi a disposizione da Darryl Zanuck nell’impresa della sua vita, il D-Day, lo sbarco in Normandia e la sua preparazione, la conquista di mare e terra palmo a palmo, la penetrazione nei giorni immediatamente successivi in territorio francese. Con spostamenti continui dagli headquarters alleati a quelli tedeschi, spostamenti di fronte che sono anche cambi del punto di vista e di osservazione sui fatti. Tant’è che Zanuck, oltre a dirigere in un’ansia parossistica di controllo e dominio lui stesso alcune scene, ingaggiò ben tre registi, Ken Annakin per la parte inglese, Andrew Marton per quella americana e Bernhard Wicki per quella tedesca. E a interpretare la miriade di ruoli maggiori e minori vengono convocate, militarmente precettate verrebbe da dire, quasi tutte le star maschili di Hollywood, sicché si passa da una faccia famosa all’altra, da un cameo all’altro in un voluto sciupio vistoso di celebrità che è una dimostrazione-esibizione muscolare da parte di Zanuck. John Wayne, Richard Burton, Robert Mitchum, Sean Connery, Henry Fonda, Rod Steiger, Paul Anka, e la lista continua e continua ancora. Bianco e nero bellissimo, su schermi allora immensi. Tre ore di durata. Indimenticabile davvero la lunga sequenza delle centinaia, migliaia di paracaduti che si aprono nel cielo di Normandia di notte. Io lo adoro, ecco. Molti, molti anni dopo, in un’altra America diversa e lontana da quella che aveva combattuto la WWII e anche da quella che aveva prodotto Il giorno più lungo, Steven Spielberg riracconterà al cinema lo sbarco in Normandia, il D-Day, mostrandocelo come un’enorme mattanza, e riscrivendo lo stesso paradigma del cinema bellico.
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