Drugstore Cowboy di Gus Van Sant, Paramount Channel, ore 21,15. Sabato 15 luglio 2017.
Un Gus Van Sant del 1989, del primo periodo, quando nei suoi film si faceva ritrattista e cantore dell’America di margine e di marciapiede popolata da tossici, clandestini, marchetari e marchettare. Ritrattista mai distante, mai osservatore giudicante, piuttosto complice situato con la macchina da presa all’esatto livello dei suoi soggetti-oggetti di narrazione. Più tardi tra anni Novanta e Duemila Gus Van Sant sarebbe diventato grandissimo, trasformandosi in uno degli autori più influenti della sua generazione, in uno dei maestri veri del cinema dei due millenni con film come Elephant e Paranoid Park e i loro universi adolescenziali indagati per mezzo di una mdp che si fa stalker e cacciatrice dei protagonisti ripresi in interminabili, ipnotici, virtuosistici piani sequenza. E spesso di spalle, in quel cinema battezzato poi ironicamente delle ‘nuche che caminano’ che avrebbe contagiato decine, centinaia di nouveaux auteurs in tutto il mondo. In Drugstore Cowboy Gus Van Sant non ha ancora comnpiutamente messo a punto il suo fare cinema, esibendosi se mai secondo modi e stilemi da cinema più classicamente indie per raccontare di un piccolo gruppo di tossici alla deriva. Una ragazza ci lascia la vita e Bob, il leader del gruppo, decide di darsi una ripulita. Con Matt Dillon in una delle meglio interpretazioni di una carriera discontinua. Ma la ragione vera per non perdersi Drugstore Cowboy è la presenza di William Burroughs, scrittore maledettissimo con in curriculum stagioni tossiche e allucinate e perfino un delitto (vittima la moglie), qui nella parte di un sacerdote drogato.

Matt Dillon con Wiliam Burroughs