Locarno 70. Recensione: AS BOAS MANEIRAS (Le buone maniere). L’horror al servizio di una storia intima

969147As Boas Maneiras (Le buone maniere) di Juliana Rojas e Marco Dutra. Con Isabel Zuaa, Marjorie Estiano, Miguel Lobo, Cida Moreira. Concorso Internazionale.
969150Rosemary’s Baby a San Paolo. Un bambino fragile e insieme pericoloso. Una donna che disperatamente cerca di proteggerlo. La coppia registica brasiliana Rojas-Dutra usa con discrezione il cinema horror per parlarci dell’ossessione narcisistica del corpo, di maternità, dei fantasmi alimentati dalla hybris biotecnologica. Palmarès? Voto 7+
969149Come usare con sottigliezza, finezza di pensiero, sensibilità, il genere a maggior rischio di grossolanità e trucidume che c’è, l’horror, piegandolo a una storia intima in cui c’entrano parecchio i fantasmi familiari, e quelli legati al corpo, alla maternità, al concepimento, alla nascita, ai sempre determinanti e ineludibili legami di sangue. Fantasmi oggi ulteriormente alimentati dalla hybris biotecnologica. Il duo registico brasiliano Rojas-Dutra centra il bresaglio raccontando, per quanto via fictionalizzazione, l’irrompere dell’alterità biogenetica nella media vita quotidiana, fino a farne esplodere le sotterranee tensioni e contaddizioni. Diciamo che Le buone maniere incomincia dove Rosemary’s baby di Polanski finisce, mostrandoci cosa può capitare crescendo a un bambino nato diversamente umano, e a chi gli sta intorno.
Clara, una giovane donna disoccuoata di Sao Paulo, trova lavoro come badante-governante-tuttofare presso una giovane signora di sicura borghesia di nome Ana (le differenze di classe e di casta sono una costante nel cinema brasiliano materiliazzandosi in contorte relazioni servo-padrone e/o in confronto-scontro tra epidermidi di colore diverso, e indovinate chi sta socialmente sopra, se il bianco o il nero). La quale, benché incinta, non ha un marito, non ha rapporti con la sua famiglia. Un mistero, che si chiarirà naturalmente in corso d’opera. Tra Clara e Ana la fiducia man mano si rafforza, l’affetto pure, fino all’inevitabile bacio lesbico e anche di più di cui il cinema autoriale non sembra ormai più fare a meno. Ma la gravidanza è stranamente travagliata, nelle notti di luna piena Ana sembra diventare un’altra, soffre di sonnambulismo (come la Isabelle Huppert di Madame Hyde di Serbe Bozon). Attenzione, adesso spoiler, si astenga pure chi teme infantilmente che gli si rovini la visione di un film che peraltro avrà pochissime probabilità di vedere.
Dunque: si arriva al parto. Parto? La pancia della povera Ana viene squarciati dal di dentro da quella che si rivelerà una strana e pericolosa creatura, alla Rosemary’s Baby appunto. Ma se lè era il diavolo, qui è un baby-licantropo. Mi rivolgo ancora ai paranoici dello spolier: tranquilli, da qui in avanti ci sono altre due ore o quasi di film. Che, senza che sia più necessario entrare da parte mia in dettagli, ci mostrano come Clara diventi madre di fatto di quell’infante insieme orfano e killer – Ana naturalmente è morta – chiamato Joel (incredibilmnet lo interpreta un attore bambino che di nome fa Miguel Lobo, come dire Michele Lupo). Naturalmente deve nascondere le crisi che lo fanno diventare un licantropo nelle fatali notti di plenilunio, nauralmente deve proteggerlo da se stesso e dal mondo. As Boas Maneiras è questo, ed è molto. Le concessioni all’horror ci sono, eccome, ma a prevalere è lo speciale legame tra Clara e quel bambinio non suo che lei ama oltre ogni cosa. Sceneggiatura perfetta, con il crescendo di tensione e dei colpi di scena molto bene orchestrato. Messinscena senza fronzoli, funzionale, aliena da formalismi e bellurie fino a sembrare a momenti povera e sciatta (non lo è), e tutta al servizio della storia e dei personaggi, massimanente di Clara e dello sfortunato Joel. Facile e banale vederci una metafora della diversità, ma oggi la diversità di ogni tipo e variante non ha più bisogno di metafore per essere rappresentata: si esibisce da sé. E dunque Le buone maniere va visto come una narrazione che affonda nel giacimento di archetipi collettivi, nell’inconscio individale e di tutti, eterna fabbrica di storie, proiezioni psichiche, sogni, incubi, fantasmi, miti. Una delle cose migliori del Concorso, e stiamo a vedere sel giuria presieduta da uno molto bravo (e assai sensibile al cinema di genere) come Olivier Assayas ne terrà conto.

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