Locarno 70. Recensione: SURBILES di Giovanni Columbu. Il miglior film italiano del festival è un film sardo

973098Surbiles di Giovanni Columbu. Con Simonetta Columbu, Luigina Marcello, Pietrina Menneas, Giulia Puddu. Sezione Signs of Life.
973096Dopo Su Re visto al Torino FF nel 2013, Giovanni Columbu ci consegna un altro film straordinario, assestandosi definitivamente tra i nostri maggiori cinesti indipendenti. Tra documentario etnografico e horror, tra visioni del reale e fictionalizzazione, Surbiles (accento sulla u) esplora e racconta un’inquietante leggenda della Sardegna profonda. E speriamo che qualcuno lo distribuisca. Voto 8 e mezzo
973094È stato un cineasta assai di nicchia e rispettato ma lontano dal frastuono mediatico come Giovanni Columbu, sardo di Nuoro, classe 1949 (fate voi i conti), ad aver messo a segno uno dei migliori film in assoluto – tenendo conto di tutte le sezioni – di Locarno 70. E di gran lunga il miglior film italiano, almeno tra quelli che sono riuscito a vedere. I magnifici sessantenni che se ne son stati in disparte per una vita coltivando la propria visione intransigente di cinema sono uno dei motivi e delle sorprese di questa edizione di festival di Locarno. Oltre a Columbu, ecco il caso anche più clamoroso del francese F.J. Ossang, cineasta, poeta e musicista punk, che di anni ne ha 61, e finalmente dopo una carriera in apnea, in quasi clandestinità, premiato qui come migliore regista per il suo bellissimo 9 Doigts (abbracciato sul palco di Piazza Grande dal presidente di giuria Olivier Assayas, che ha ricordato la loro lunga amicizia, e forse non era il caso, visti i commenti malevoli anticasta che puntualmente sono poi arrivati: ‘si premiano tra di loro’ ecc.: e invece premio meritato). Columbu, allora: un signore che ha lavorato a lungo in Rai, ha praticato i territori dell’arte, ha realizzato documentari e che io ho (cinematograficamente) conosciuto e incontrato la prima volta al Torino Film Festival 2013. Dove diedero in concorso il suo Su Re, la passione di Cristo secondo i punti di vista dei quattro Vangeli messa in scena come una sacra rappresentazione popolare sarda, dunque i paesaggi selvatici che potete immaginare, attori non-attori, e tutti parlanti in lingua dell’isola. Un pasoliniano Vangelo secondo Matteo nuragico, ancora più radicale e arcaico. Per me, una rivelazione (ecco la mia recensione di allora), e ancora sono lì a chiedermi come Su Re sia potuto uscire da quel Torino FF senza un premio, e come sia stato poi pressoché ignorato dalla stampa e dal sistema cinema italiano (distribuito in qualche sala per qualche giorno, punto). Adesso eccolo riemergere a Locarno, Giovanni Columbu, con questo strano manufatto cinematografico, strano e indefinibile, molto avanti nei linguaggi e nelle ibridazioni di varie forme-cinema, molto progressivo, molto – consapevolmente o meno non importa – allineato alle esperienze più radicali. Perché documentario etnografico, ma documentario con un impianto narrativo e ampie zone, quasi tutte, di fictionalizzazione. Compilation di racconti, e leggende e credenze, popolari in forma di cinema, ma anche riduzione di generi ultrapop come l’horror e il supernatural e il fantastico alla dimensione micro e per niente globale del villaggio sardo, dei nuragi, della montagna aspra. E peccato però per l’eccessivo ermetismo autorialista. Solo alla fine apprendiamo come Surbiles (accento sulla u) si componga di nove racconti, nove episodi di una stessa saga horror di paese, sicché si fatica parecchio alla visione non conoscendo questa organizzazione narrativa, e pensando invece trattarsi di un’unica storia (e quindi cercando disperatamente di connettere, mettere insieme, incastrare pezzi che invece sono, ma lo scopriamo solo ai titoli di coda, autonomi). Surbiles è il nome con cui vengono definite in una parte di Sardegna profonda e interna, quella che il film ci mostra, certe streghe. Donne del male, anime condannate (come le chiama una signora intervistata da Columbu), dedite alla pratica del male, in particolare a nuocere ai bambini. Si travestono da persone innocue, bussano alla porta, cercano con l’inganno di entrare in casa, e una volta dentro eccole mettere un atto i loro sortilegi a danno dei più deboli. Le storie su di loro si accavallano, a volte si contraddicono (forse esistono anche surbiles buone che combattono le operatrici del male, forse no).
Columbu si muove in parte secondo i dettami del documentario etnografico più austero. Penetra nei piccoli paesi, nelle case, interpella perlopiù donne anziane facendosi dire le fosche storie-leggende creciute intorno alla figura delle surbiles. Molte delle chiamiamole testimoni si rifiutano però di parlare, blindate in un’omertà dettata dalla paura (rivelare gli arcana è una colpa? attira su chi lo fa il male?). E quei racconti, quelle testimonianze, li mette in scena. Con una prima sequenza formidabile, una giovane donna sospettata di stregoneria che vaga di notte bussando, chiedendo aiuto, senza che nessuno le apra. Seguono episodi ben più drammatici e foschi. Bambini su cui è caduto il malefizio e che rischiano la morte. Surbiles che fuoriescono dal proprio corpo per invadere ectoplasmaticamente il villaggio, le strade, le case. Una specie di sabba di surbiles e loro seguaci (scena meravigliosa). Lo sguardo di Columbu è di pura osservazione, mai giudicante, e non può non ricordarci quello delle fondamentali ricerche anni Cinquanta dell’antropologo Ernesto De Martino sui riti magici e di possessione del Sud italiano (soprattutto in Lucania). Ricerche che già ispirarono al cinema Il demonio di Brunello Rondi e Arcana di Giulio Questi-Kim Arcalli.
A incantare in Surbiles è quella cultura contadina impregnata di pensiero magico cui Columbu si (ci) avvicina con un rispetto che evoca il migliore Olmi, anche se qui siamo lontani geograficamente e culturalmente dalla bassa bergamasca profondo-cattolica dell’Albero degli zoccoli. Come non restare folgorati da quelle case linde e ordinate di un’austera e perduta premodernità, da quei modi alieni dalla sovreccitazione del nostro tempo. Inquadrature immobili, contemplative, a catturare il tempo lungo e circolare del mito. Silenzi, da un altro mondo e da un altro cinema. Mai come in questo caso la locuzione civiltà contadina sembra acquistare un senso. E però, pur affascinandoci con quel lindore, con quella pulizia di segni, Columbu va anche a esplorare il lato oscuro di quel microcosmo, la paranoica leggenda collettiva delle surbiles intrisa di inquietanti pulsioni alla caccia al diverso, al capro espiatorio. Alle streghe. Ed è forse per attenuare questo senso di allarme che nell’ultimo episodio Columbu cerca di consegnarci un’immagine più addolcita delle (presunte) creature del male, come a voler prendere le distanze dalla paranoica leggenda. Pur oscillando ambiguamente tra fascinazione del pensiero magico e coscienza dei suoi rischi, delle sue deviazioni, Surbiles resta un film indispensabile. Bisogna che circoli, venga visto il più possibile. E sarebbe somma ingiustizia continuare a ignorare Columbu, ormai da collocare tra i nostri maggiori cineasti indipendenti (e, per ritrovare nobili genealogie, non si può non pensare, dopo Surbiles, non solo a Olmi ma anche al Vittorio De Seta di Banditi a Orgosolo). Anche qui, come nel caso di Easy, si rimpiange che Surbiles non sia stato messo nel Concorso Internazionale o almeno in una sezione più visibile della molto interessante ma anche elitaria Signs of Life. E adesso, per favore, date a Columbu un budget adeguato per un grande film.
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