Nazidanie, un flm di Boris Yukhananov e Alexander Shein. Fuori concorso.
Il film più eccentrico, e tra i più belli, del festival di Locarno. Che ricostruisce lo scontro Zidane-Materazzi (colpo di testa del francese all’italiano) durante la finale di Coppa del mondo 2006 non come un fatto di cronaca, ma come lotta tra Bene e Male, riemersione dell’archetipo dell’Eroe e dell’Antieroe. Lo sport riletto come mito, concatenazione simbolica, sacra rappresentazione. Qualcosa che non si era mai visto. Due ore e mezzo, eppure non ci si annoia un secondo (sempre che si ami il calcio). Voto 8 e mezzo
A Locarno non mancano, non sono mai mancati perché la mission di questo festival sono la scoperta e il dissodameno di terre incognite, i film eccentrici, così fuori dalla medietà, così avviluppati nella loro ossessione esplorativa, da sfiorare il delirio. O talmente ardui da essere più apparentabili a un mindgame, all’enigma della sfinge, a una sfida lanciata allo spettatore. Anche quest’anno il festival-del-lago-Maggiore (è per non ripetere Locarno, e vogliate scusarmi: è che dire il festival del Ticino mi pare peggio) non smentisce la sua fama di vetrina dove vanno in esposizione le cose più radicali (unici suoi concorrenti europei possono essere tutt’al più il Rotterdam Festival o certe sezioni della Berlinale come Forum), da far urlare ai critici più conservatori e pigri allo scandalo e, fantozzianamente, alla boiata pazzesca: l’ho già scritto e mi ripeto, odio Fantozzi, odio il suo grido belluino e plebeo contro la corazzata Potemkin che ha sdoganato e autorizzato ogni demolizione becero-populista del bello, detesto i recensori che pretendono da Locarno cose più commestibili, più digeribili, più narrative, meno noiose, meno malmostose. Che volendo sparare contro il radical-scicchismo e certa compiaciuta cinefilia finiscono poi, ed è l’eterogenesi dei fini bellezza, col farsi complici e portavoce – solo con migliore padronanza della lingua italiana – del macheppallismo dilagante, della lagna della media sciampista del tipo ma che tristezza! ma che film noioso! ma non si capisce niente! ma basta con malati, morti, disastri, disagi sociali che io al cinema voglio divertirmi!
Lunga premessa per dire che anche stavolta un bel po’ di film a vario titolo estremi li abbiamo visti, disseminati nelle varie sezioni, specie Cineasti del Presente, Sign(s) of Life e Fuori concorso. Vogliamo parlare di Le fort des fous, Il forte dei folli, dell’algerina Narimane Mari, nato come videoinstallazione per Documenta 14 di Kassel? Due ore e venti su non si capisce cosa, forse sull’eredità coloniale, tra esagitati e sdatatissimi movimenti coreografici di un gruppo di attori-mimi-ballerini, tra emmadantismi e happening che neanche il Living Theater negli anni Sessanta, e naturalmente il solito impegno politico a irrorare il tutto. O il bulgaro 3/4, vincitore a Cineasti del Presente, misteriosa cronaca familiare dove la pratica dell’ellisse e del non detto è talmente radicale da renderci incomprensibile tutta la parte finale, e non solo quella. Non scherza nemmeno il Pardo d’oro Mrs. Fang di Wang Bing, crudo e spettrale come un referto mortuario, difatti è il resoconto via macchina da presa della lunga agonia di una settantenne cinese divorata dall’Alzheimer (anche questo dato prima a Documenta 14, dov’è in programmazione fino a metà settembre – questo nel caso passiate da quelle parti tedesche -, e poi dirottato su Locarno). E la lista può continuare con Cocote, film dominicano vincitore della sezione più edgy del festival, Sign(s) of Life, dove il ritorno al villaggio natio di un uomo probo e cristiano-evangelico diventa la forzata reimmersione in un mondo animista e selvaggio, che di cristiano ha solo i tratti esteriori. Discesa agli inferi istintuali raccontata però dal regista nei modi di un cinema etnografico massimamente chic e austero. Inquadrature perlopiù fisse, sguardo raggelante su quella materia incandescente, campi lunghi anzi lunghissimi, riprese notturne di buio quasi totale a rendere incomprensibili gli snodi cruciali. Il voodoo, la santeria visti da un ascetico Bresson tropicalista. E però, la vera extravaganza di Locarno 70, assai intellettuale e assai godibile nonostante la follia del suo concept e la durata di due ore e mezza, è questo Nazidanie, produzione russa che porta la doppia firma di Boris Yukhananov e Alexander Shein, nomi di rispetto (soprattutto il primo) della scena filmica e teatrale underground delle decadi post-sovietiche. Avvertenza: per amare questo film (di cui è stata presentata a Locarno fuori concorso un prima versione, e di cui gli autori promettono l’uscita in sala di una versione ulteriore nel 2018 quando la febbre dei nuovi Mondiali proprio in Russia sarà al massimo) bisogna almeno amare un po’ il calcio, se no meglio lasciar perdere. Ma se il calcio lo amate – come i due miliardi e mezzo di esseri umani che seguirono l’evento al centro di questo film, la finale della Coppa del mondo di Berlino il 9 luglio 2006 – non perdetevi Nazidanie quando vi capiterà a portata di mano e di occhi, magari su qualche piattaforma digitale. Lo spettacolo è assicurato. In una sala enorme a Locarno non eravamo tantissimi, ma pochi sono scappati, e alla fine applausi vigorosi e convinti di chi aveva resistito.
Nazidanie è titolo quasi cabalistico, nel suo significare in russo educazione, avvertimento, monito, sermone, lezione, ma anche nell’incastonare in sé, mimetizzandolo appena, il nome magico Zidane, magico perché di quel Zineddine Zidane che è stato uno dei grandissimi del calcio (e per molti, tra cui mi metto, il più grande), adesso allenatore del Real Madrid già santificato da doppia vittoria in Champions League.
Francese di Marsiglia di famiglia algerina, anzi a essere precisi kabyla (la minoranza berbera), la sua immensità di calciatore ha rischiato di essere obnubilata dall’episodio che lo ha visto co-protagonista nel corso della finale berlinese di World Cup nel 2006 con il nostro Marco Materazzi. Dunque: OlympiaStadion (benché rifatto e rilucidato per l’occasione, esattamente quello che Hitler e Goebbels vollero come tempio per officiare il rito pagano e ariano-suprematista delle loro Olimpiadi 1936, rito poi rovinato e ridicolizzato dalle sei medaglie d’oro del nero americano Jesse Owens). La finale in corso con Coppa del mondo in palio è, per coloro che non lo sapessero, Francia-Italia: a vincere – non urlate allo spoiler! – sarà l’Italia. L’episodio chiave, la svolta, è al minuto 17 del primo tempo supplementare a risultato bloccato sull’1-1, allorché la star dei bleus, Zizou, Zineddine Zidane il divino,viene espulso. Lui che nel corso di una carriera irreprensibile si è assicurato fama di campionissimo anche della correttezza. Ma stavolta ha perso la testa. Probabilmente aizzato (e sulle parole scatenanti la sua reazione ancora ci si interroga, e Nazidane lungamente si interroga) da sanguinosi insulti del nostro Marco Materazzi, il difensore incaricato di stargli addosso, risponde con un colpo di testa, letteralmente. Andando a investire a capo basso, come un ariete, come un toro infuriato, il nerazzurro in azzurro che gli offre il petto come una vittima sacrificale, come un San Sebastiano. Con l’arbitro che non può che buttarlo fuori partita. Da quel momento la Francia giocherà senza il suo calciatore simbolo, colui che già l’aveva condotta alla conquista di una Coppa del mondo. Orba di tanta classe, si smarrisce, si attorciglia su se stessa. Fino a perdere in quell’ordalia che sono i calci di rigore.
Quel colpo di testa è entrato nell’iconografia popolare, ripreso e parodiato infinite volte, rischiando (senza riuscirci grazie a Dio) di azzerare la grandezza di calciatore di Zidane, di inchiodarlo in saecula saeculorum a quel frame di toro impazzito nell’arena dell’OlympiaStadion. Nazidanie ricostruisce ossessivamente gli antefatti e le conseguenze di quel momento, quel che successe prima e dopo a Zidane, a Materazzi, ai team francese e italiano, attraverso il solito montaggio di videomateriali televisivi, cronache di calcio, commenti, cui si aggiungono animazioni originali. Ma, e qui sta la peculiarità dell’operazione di Yukhananov e Shein, non per tracciare una cronaca sportiva, ma per trasfigurare quel momento nel culmine di un percorso simbolico e nella strutturazione di un mito. Momento fatale, epifania di una verità profonda e nascosta che attraverso la collisione tra i due erompe, si manifesta in piena luce, rivelando il destino e l’essenza non solo del suo protagonista Zidane e del suo avversario Materazzi. I due registi, specialmente Boris Yukhananov cui appartiene il concept di questa operazione e autore del testo, ripensano alla storia Zidane, e Zidane-Materazzi, come a una lunga cerimonia esoterica, una narrazione mitica, una rappresentazione sacra, una concatenazione simbolica. Come all’eterno ritorno di un archetipo collettivo. Interpretandola e restituendocela alla luce della mistica cristiana, della cabala, della numerologia, della psicanalisi freudiana e junghiana, della visione gnostica, della sapienzialità orientale, e del solito immancabile Nietzsche. Quella tra Zidane e Materazzi diventa la lotta di sempre tra Bene e Male, con il primo nella parte dell’Eroe, o del dio, il secondo del diabolico nemico. O dell’angelo sterminatore. O dell’antagonista necessario affinché, attraverso la sofferenza da lui procurata, rifulga la santità dell’Eroe. Con i due che in corso di film si assimilano fino a diventare le due facce di una stessa entità. Due ore e mezzo di immagini, di sport e extrasport, in cui al posto del commento calciomane o piattamente giornalistico c’è una voce fuori campo che racconta nascita, ascesa, trionfo di un Eroe fino a quello scontro che è insieme caduta, momento supremo della verità, contributo del male all’edificazione del bene. Un film che è un godimento, e un’avventura intellettuale. Peccato solo che sia difficile afferrare completamente attraverso i sottotitoli inglesi il velocissimo e ricchissimo commento. Si resta affascinati da come Nazidanie (titolo che incorpora, tano per stare al gioco dei due autori, anche l’abbreviazione Nazi per nazista) ripercorre la storia pregressa di Zidane, la sua ascesa da un quartiere disagiato di Marsiglia, La Castellane, ai vertici del calcio nazionale e mondiale. Porta alla vittoria nel mondiale 1998 e nell’europeo 2000 la nazionale francese, nel delirio del paese tutto, Chirac presidente in testa. Poi la decisione di ritirarsi dal calcio, la sparizione dalla scena. Che Nazidanie legge simbolicamente come la discesa agli inferi dell’anima dell’eroe, esperienza di purificazione e arricchimento (e i riferimenti si sprecano, dal mito di Orfeo in giù). Ma dopo due anni l’annuncio clamoroso: Zidane decide di tornare al calcio. In un’intervista rivela di aver ricevuto una sorta di illuminazione, di aver sentito una notte una voce che lo invitava a tornare. Ed è, per gli autori di Nazidanie, la prova, la pistola fumante, la certificazione che quella di Zineddine è vicenda che ha a che fare con il divino. E il demoniaco. Con quanto sta al di là del visibile. Zidane smentirà goffamente dicendo che quella era la voce di suo fratello, ma la rivelazione resta, e lascia sbalorditi (devo dire che prima di questo film non ne avevo mai sentito parlare). Boris Yukhananov e Alexander Shein vanno a cercare un’infinità di altri indizi connettendoli in una rete interpretativa di alta suggestione, ma che si fatica ad accettare razionalmente (certi nessi, certe generalizzazioni improprie somigliano rischiosamente a certe costruzioni complottistiche e paranoiche). Ma stare al gioco che i due russi ci propongono è bello, e allora perché non giocarci? Si tirano fuori numeri fatali, come il 29, ricorrente nella vita e nella carriera sia di Zidane sia di Materazzi. Materazzi, di cui vengono rievocate le precedenti gesta sul campo da gioco che gli hanno valso l’appellativo di macellaio, quindi il perfetto strumento del male approntato dal fato acciocché si arrivi al duello ultimo con l’Eroe Zidane, e nel luogo del male assoluto, l’OlympiaStadion voluto da Hitler. Stavolta la solita e un po’ logora operazione di blobbaggio, assemblaggio, smontaggio e rimontaggio e collage tipico di tanto cinema postmoderno (cui si aggiungono animazioni realizzate ad hoc), va a creare un’altra narrazione, un nuovo testo che trasfigura quello originario. Risultato stravagante e insieme incredibilmente brillante, un esercizio di intelligenza e un acrobatico virtuosismo sul filo del delirio e del paradosso. Anhe se non tutto torna, e il gioco dei simbolismi non è sempre così coerente, anzi pareccho ondivago (per dire: Materazzi passa da incarnazione del male assoluto a angelo sì sterminatore ma sempre angelo). Un film tra i più matti e belli di Locarno 70. Pare ci sia anche una versione televisiva lunga parecchie ore: non sarebbe male vederla. Intanto, aspettiamo la versione cinematografica definitiva per i Mondiali 2018 in Russia: dove se no? Resta da vedere a chi toccheranno stavolta i ruoli incarnati dall’Eroe Zidane e dall’Antieroe Materazzi nel 2006.
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