Recensione: GOOD TIME dei fratelli Safdie, il vero film rivelazione dello scorso festival di Cannes

e4adc5765186be2be03f0e302724aa87358287Good Time, un film di Benny Safdie e Josh Safdie. Con Robert Pattinson, Benny Safdie, Jennifer Jason Leigh, Buddy Duress. Al cinema dal 31 ottobre distribuito da Movies Inspired.
358131Un puro prodotto della scena indie-newyorkese, i giovani fratelli Safdie. Ammessi in concorso allo scorso Cannes con questo heist movie (e relativa fuga post-colpo) concitato, schizzato, allucinato, velocissimo. Tant’è che in tutto quel vorticare di cose e persone a un certo punto c’è il rischio di perdersi. E però che energia e che visione di cinema. La vera rivelazione del festival, più del vincitore The Square. Con il miglior Robert Pattinson dell’era post-Twilight. Voto 8
b32b0a37105b6782a2edbbb3548f885e421081Prima di questo Good Time avevo visto solo un film di quel puro prodotto indie-newyorkese che sono i fratelli Safdie, ed era un mediometraggio proiettato al Locarno Festival qualche anno fa, The Black Balloon, Il palloncino nero. Un’apparenta fiaba per infanti, in realtà un’odissea urbana avvincente piena di imboscate, pericoli e svolte inattese, in cui la cinepresa inseguiva un palloncino per il cielo e le strade di New York. Un film che reggeva benissimo, anche parecchio appassionante, nonostante avesse quel piccolo oggetto galleggiante nell’aria per protagonista. Bene, questo Good Time lo si direbbe agli antipodi, schizofrenicamente agli antipodi, di quel mediometraggio, trattandosi di tutt’altra cosa e altro genere, un noir tostissimo, con colpo in banca, sangue, ferite, fuga, incidenti, imprevisti. Tutto, convulsamente, in poco più di una notte. Con intrusioni in ambienti di straordinario degrado metropolitano, e dunque nessun genitore lo farebbe mai vedere ai pupi, altro che The Black Balloon. E invece. Invece la struttura narrativa è sorprendentemente simile. Anche Good Time ci racconta di un errare e vagare, di un altro movimento frenetico indotto dalla necessità (la fuga) e molto dal caso (gli imprevisti che si susseguono). Con la differenza che qui al posto del black balloon a vagare per le strade è un umano, un survoltato, bravissimo e schizzato Robert Pattinson nella sua migliore performance dell’era post-Twilight.
Connie è il solito giovane uomo proletario alla deriva dell’America d’oggi, con presente e passato prossimo per niente immacolati, ampio uso di sostanze alteranti, zero soldi, zero lavoro, famiglia maciullata. Solo la nonna, che peraltro non ne vuole sapere di lui, e l’amatissimo fratello minore Nick, un ragazzone con qualche problema mentale (è uno dei due registi, Benny). Servono dollari per sistemarlo, Nick, da qualche parte dove possa stare tranquillo. Dunque ecco Connie programmare, coinvolgendo nella mala impresa il fratellino, il classico colpo in banca, dove sembra inizialmente azzeccare tutto, salvo poi farsi fregare da un vecchio trucco che ogni rapinatore sano di mente dovrebbe conoscere e lui, loro, invece no. Finisce che il maggiore ce la fa scappare, il minore no. Massacrato e portato all’ospedale. Sicché Connie comincia la sua avventura per New York cercando di sfuggire alla polizia, ma anche di liberare il piccolo di famiglia. Sarà l’innesco di una girandola di equivoci, goffaggini, scambi di persona, il tutto a un ritmo frenetico cui non ce la si fa a star dietro. E però che fantasmagoria visiva, e che energia in questa avventura squisitamente urbana. L’epica di questo eroe sgangherato, astuto nel trovare soluzioni ai vari imprevisti ma che non ce la fa mai a liberarsi dalla sindrome del loser, ricorda da vicino certa New Hollywood anni Settanta e un qualcosa dei primi Ottanta. Tanto per cominciare Quel pomeriggio di un giorno da cani: anche qui si fa un colpo per sistemare una persona amata, il fratello disabile psichico (là era il fidanzato trans cui occorrevano i dollari per il cambio di sesso). E io aggiungerei I guerrieri della notte di Walter Hill. I due Safdie dicono di guardare molto a Scorsese, forse a quello di After Hours, perché francamente non vedo forti analogie tra Good Time e i mafia-movies littleitaliani dell’übermaestro. Invenzioni a raffica e citazioni, come la lunga parte al lunapark, luogo molto amato dal cinema (dico solo La signora di Shanghai di Orson Welles e Delitto per delitto di Hitchcock). Su tutto quell’aria di desolazione che sta sempre addosso alle vite bruciate in partenza. Pattinson e fratellino sono solo l’ultima incarnazione di un tipo eterno del cinema e non solo, il loser in cerca di riscatto e puntualmente sconfitto. Anche se questo, più che un cinema del e sul reale, su un qualche disagio giovanil-urbano, è cinema di pura forma. Forma che prevale sul resto e anzi lo determina, lo configura. Molti gli applausi dei jeune critiques a Cannes (e la solita glaciale indifferenza dai critici paludati) che probailmente hanno trovato un modello di riferimento e identificazione nei due fratelli newyorkesi così giovani e già così di successo. #SafdieBrothersfatecisognare Quanto a me, ritengo Good Time la vera rivelazione del concorso di Cannes 2017 , più dell’acclamato svedese vincitore di Palma The Square, che più passa il tempo e più mi sembra overrated (esce tra poco nei cinema e potrete farvi un’opinione). Strapiaciuto ai sempre imprescindibili – e ultrasnob – Cahiers du Cinéma, che hanno salutato Good Time come la cosa migliore del grande festivàl insieme a Geu-Hu (Le jour d’après) del coreano Hong Sangsoo.

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