Arpón di Tomás Espinoza. Con Germán Da Silva, Nina Suárez, Ana Celentano. Concorso Torino 35.
Una storia di ordinaria abiezione e corruzione morale in una sperduta (e perduta) prvincia argentina. Un preside dai molti vizi cerca di salvare una sua studentessa dal disastro, o forse no. Circola un’aria ambigua, losca, in questo film livido e malsano. Eppure stilisticamente assai consapevole. Potrebbe vincere qualcosa. Voto 7
Il cinema latinoamericano è da anni ormai una potenza da festival. Con in testa Messico, Cile e Argentina. Di un regista venezuelano d’origine, ma produzione argentina, è questo Arpón, accolto malmostosamente in proiezione stampa e invece in my opinion tra le meglio cose di un concorso non proprio entusiasmante. Livido e non conciliato riratto di una provincia soffocata e sull’orlo dell’apocalisee morale. Climi claustrofobici e plumbei, falsi movimenti di cose persone che ricordano l’atonia della prima Lucretia Martel. Piccoli uomini e piccole donne che si battono come insetti chiusi in una teca, osservati dal regista-entomologo che ne riporta fattualmente le traiettorie senza via d’scita, la progressiva caduta nell’abisso. Storia di un’abiezione dietro il paravento di un’opaca normalità, terreno di coltura di vizi, peccati, decadimenti dell’anima. Un preside sta addosso, forse per salvarla, forse per più inconfessabili motivi, a una sua studentessa, ragazza interrotta con patologie familiari alle spalle, anzi ancora in corso. La osserva, la controlla, la segue ossessivamente. Lei, l’adolescente Cata, già corrotta, e già compromessa in loschi traffici dentro e fuori la scuola. Ma la missione salvifica non riuscirà, non può riuscire. Circola un’aria losca e ambigua lungo tutto il film, le buone intenzioni sembrano nascondere le peggiori, ma anche viceversa. Chi è davvero il señor Arguello? Un Humbert Humert pronto a tutto, a giocarsi la carriera e financo la vita, per portarsi a letto la sua lolita di riferimento? O un uomo sì dai molti vizi ma deciso una volta per tutte a riscattarsi in una nobile impresa? Tutto è caliginoso e nebbioso in Arpón, tutto si confonde, narrativamente ed eticamente. Il film non ci dà risposte, evoca il male e la corruzione per spalmarle in ogni anfratto del suo microcosmo, e sulla pelle dei suoi personaggi. Un’atroce vicenda di lenoni e vittime consenzienti che ricorda la sottotrama con Jodie Foster di Taxi Driver, e anche qui, come in Scorsese-Schader, la redenzione non c’è. Regia assai consapevole, e stilisticamente, graniticamente coerente, di un voluta anoressia espressiva. Qualche falla di sceneggiatura. Com’è possibile che un preside scafato come Arguello si porti a casa per una notte una sua alunna? Germán Da Silva potrebbe vincere come migliore attore, e il film portarsi via anche il massimo premio (dipende dagli equilibri geopolitici in giuria, come sempre. Val la pena ricordare come il presidente sia cileno – Pablo Larrain – e uno dei giurati – Santiago Mitre – argentino).
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