Quel che resta del giorno di James Ivory, Cine Sony (55 dt), ore 21,05. Sabato 20 gennaio 2018.
Il film che James Ivory trasse nel 1993 dal romanzo dell’allora non così celebre Kazuo Ishiguro, vincitore dell’ultimo Nobel, quello 2017, per la letteratur. E dunque da rivedere oggi anche alla luce della consacrazione dellos scrittore anglo-giapponese (o nippo-inglese).
Liquidato spesso come formalista e regista calligrafico, James Ivory è stato invece tra i pochi a saper indagare la storia dell’Otto-Novecento attraverso mirocosmi privati e però sintomatici e significativi di un’epoca, di un paese, di un continente (del resto, bollati di calligrafismo sono stati anche eminenti autori come Mario Soldati e Mauro Bolognini, e perfino Luchino Visconti). Quel che resta del giorno appartiene alla stagione aurea di Ivory, quello tra anni Ottanta e primi Novanta che include anche Camera con vista (1986) e Casa Howard (1992). Siamo nell’Inghilerra entre deux guerres, nella casa patrizia di un lord pericolosamente filo-germanico. Ricevimenti, ospiti illustri e ospiti segreti (l’ambasciatore tedesco), e i riti che sembrano eterni dell’aristocrazia britannica, la casta più separata che il mondo occidentale abbia mai prodotto. Un piccolo affresco d’epoca, di buone maniere e liturgie sociali visto attraverso lo sguardo di Stevens, l’impassibile maggiordomo di casa, interpretato da un Anthony Hopkins al suo massimo storico. Un uomo che è la sua funzione. Che antepone il suo lavoro e la dedizione al padrone a ogni privato sentimento. Un uomo ridotto alla sua apparenza e al suo ruolo sociale. La nuova e intelligente governante cercherà di stabilire un ponte con lui, di snidarlo, di cavarne fuori il dato e il lato umano così ben celato. Ma non ce la farà e, benché innamorata di lui, se ne andrà per sposare un altro uomo. Si ritroveranno dopo molti anni a rievocare e rimpiangere i tempi passati insieme a casa Darlington, e contemplare ormai impotenti quel che ne resta. Ricostruzione minuziosa e perfetta, à la Ivory insomma. Ma dietro alle scene che sembrano freddi tableaux vivants traspare il ritratto a momenti straziante di una vita, quella del maggiordomo Stevens, che se ne va, si perde nella mancanza di senso e scopo, svuotandosi e affievolendosi. Con Anthony Hopkins c’è Emma Thompson, anche lei in quegli anni al vertice della carriera. E ci sono James Fox (ricordate Il servo di Losey?), Hugh Grant e Christopher Reeve.
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