Valhalla Rising – Regno di sangue di Nicolas Winding Refn, Cielo, ore 21,15. Domenica 21 gennaio 2018.Uno dei grandi e imperdibile della serata tv. Io son pazzo di Valhalla Rising e voi, se avete amato Drive e ancora di più Bronson del gran danese (il secondo dopo Lars Von Trier, ovvio) Nicolas Winding Refn, non perdetevelo. Se invece detestate il cinema dagli odori forti e anche grevi e il vostro stomaco non sopporta sangue e violenze belluine, astenetevi. Refn è regista maschile e muscolare che va dritto alla messinscena della violenza e alla sua celebrazione, senza la minima remora. Reputo questo film del 2009 il suo migliore, anche il più folle, esagitato, estremo, radicale, visionario. Qualcosa tra il fantasy alla Conan e alla Mad Max, però con un rigore e un’austerità autoriali che lo affrancano dal genere per scagliarlo in una dimensione di cinema ascetico e assoluto, metafisico, alla Dreyer. Quando l’ho visto a malapena chi fosse Refn, lo confesso. Però Valhalla Rising mi ha ipnotizzato, una delle esperienze filmiche più radicali e potenti dei miei anni recenti di spettatore. In una landa desolata del profondo Nord, forse Svezia forse Scozia, neve brume laghi plumbei e cieli che lo sono ancora di più, si agita un’umanità animalesca. Da vaghi indizi ci sembra di capire che ci troviamo al tempo di una qualche crociata, intorno al 1200. Forse. Perché i riferimenti storici sono volutamente ambigui, rarefatti e confusi, e questa vicenda primordiale di uomini brutalizzati e brutalizzanti sembra svolgersi in un non-tempo. One Eye, lo chiamano così perché è orbo di un occhio, è un uomo in gabbia, prigioniero di una feroce masnada di bruti che lo usa come animale da combattimento divertendosi e lucrandoci sopra. Lui, il grandioso Mads Mikkelsen, combatte, nel fango e nel sangue, mettendo in gioco ogni volta la vita. Arriva il momento della ribellione, si libera dei suoi aguzzini, ed è un massacro, scappa con il ragazzino che aveva l’incarico di nutrirlo. Si aggregherà a un gruppo di cristiani fanatici, e sanguinari quanto i pagani che stanno combattendo, diretti verso Gerusalemme. Ma il viaggio avrà un approdo imprevedibile. Non c’è lotta tra bene e male, tutti sono contaminati, c’è sola lotta per la sopravvivenza. One Eye è l’Eroe, sopravvissuto a un tempo in cui l’onore e la dignità contavano forse qualcosa, mentre ora tutto è stato inghiottito dalla barbarie. Spira in Valhalla Rising una cert’aria di neopaganesimo, di nostalgia dei miti e dei riti precristiani (e il titolo ne è un indicatore), anche di polemica anticristiana. Tutta roba che a me non garba. Ma questo film non va visto come un manifesto ideologico, ci mancherebbe, piuttosto come una discesa al grado zero dell’umanità, al confine tra l’umano e il bestiale, per scoprire se nel profondo dell’abisso c’è ancora qualcosa di umano, o forse di divino. Evidenti i richiami visivi a uno dei grandissimi scandinavi del cinema di sempre, Ingmar Bergman, in particolare ai suoi Il settimo sigillo e La fontana della vergine.
Uno dei grandi film della serata tv. Io son pazzo di Valhalla Rising e voi, se avete amato Drive e ancora di più Bronson del gran danese (il secondo dopo Lars Von Trier, ovvio) Nicolas Winding Refn, non perdetevelo. Se invece detestate il cinema dagli odori forti e anche grevi e il vostro stomaco non sopporta sangue e violenze belluine, astenetevi. Refn è regista maschile e muscolare che va dritto alla messinscena della violenza e alla sua celebrazione, senza la minima remora. Reputo questo film del 2009 il suo migliore, anche il più folle, esagitato, estremo, radicale, visionario. Qualcosa tra il fantasy alla Conan e alla Mad Max, però con un rigore e un’austerità autoriali che lo affrancano dal genere per scagliarlo in una dimensione di cinema ascetico e assoluto, metafisico, alla Dreyer. Quando l’ho visto a malapena chi fosse Refn, lo confesso. Però Valhalla Rising mi ha ipnotizzato, una delle esperienze filmiche più radicali e potenti dei miei anni recenti di spettatore. In una landa desolata del profondo Nord, forse Svezia forse Scozia, neve brume laghi plumbei e cieli che lo sono ancora di più, si agita un’umanità animalesca. Da vaghi indizi ci sembra di capire che ci troviamo al tempo di una qualche crociata, intorno al 1200. Forse. Perché i riferimenti storici sono volutamente ambigui, rarefatti e confusi, e questa vicenda primordiale di uomini brutalizzati e brutalizzanti sembra svolgersi in un non-tempo. One Eye, lo chiamano così perché è orbo di un occhio, è un uomo in gabbia, prigioniero di una feroce masnada di bruti che lo usa come animale da combattimento divertendosi e lucrandoci sopra. Lui, il grandioso Mads Mikkelsen, combatte, nel fango e nel sangue, mettendo in gioco ogni volta la vita. Arriva il momento della ribellione, si libera dei suoi aguzzini, ed è un massacro, scappa con il ragazzino che aveva l’incarico di nutrirlo. Si aggregherà a un gruppo di cristiani fanatici, e sanguinari quanto i pagani che stanno combattendo, diretti verso Gerusalemme. Ma il viaggio avrà un approdo imprevedibile. Non c’è lotta tra bene e male, tutti sono contaminati, c’è sola lotta per la sopravvivenza. One Eye è l’Eroe, sopravvissuto a un tempo in cui l’onore e la dignità contavano forse qualcosa, mentre ora tutto è stato inghiottito dalla barbarie. Spira in Valhalla Rising una cert’aria di neopaganesimo, di nostalgia dei miti e dei riti precristiani (e il titolo ne è un indicatore), anche di polemica anticristiana. Tutta roba che a me non garba. Ma questo film non va visto come un manifesto ideologico, ci mancherebbe, piuttosto come una discesa al grado zero dell’umanità, al confine tra l’umano e il bestiale, per scoprire se nel profondo dell’abisso c’è ancora qualcosa di umano, o forse di divino. Evidenti i richiami visivi a uno dei grandissimi scandinavi del cinema di sempre, Ingmar Bergman, in particolare ai suoi Il settimo sigillo e La fontana della vergine.
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