
Paramount Pictures

Paramount Pictures
Downsizing di Alexander Payne. Con Matt Damon, Kristen Wiig, Hong Chau, Udo Kier, Christoph Waltz. Proiettato in concorso a Venezia 2017. Al cinema da giovedì 25 gennaio 2018.

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Uno scienziato scopre come miniaturizzare gli umani, e subito nasce una colonia di entusiasti che hanno scelto l’autoriduzione. Bonsai come sono, consumano di meno e inquinano di meno: che sia la formula per salvare il pianeta? Ma quando una coppia di Omaha decide di entrare nel programma di downsizing, le cose cominciano a mostrare il loro lato oscuro. Parte bene, con una bella intuizione, questa distopia di Alexander Payne. Peccato che nella seconda metà il film naufraghi nella messaggistica politica. Voto 5

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Delusione, quando lo si è visto lo scorso fine agosto quale film di apertura al Venezia Film Festival. Di quei film buoni a metà, con ottima partenza e però pessimo arrivo. Comunque scritto e diretto come solo gli americani, intendo con quel mestiere, quelle rifiniture, quel senso dello spettacolo e della comunicabilità del prodotto, anche quando si trattano cose di un certo peso come in queso caso (ambiente, sostenibilità, sovrappopolazione, immigrazione, futuro del pianeta, onnipotenza della scienza). Anche, il film più ambizioso del suo regista Alexander Payne, un affresco assai allargato dopo un’opera volutamente chiusa in un microcosmo come Nebraska. In Downsizing si adotta astutamente il genere del cinema distopico di solito indirizzato al pubblico young adult, se ne mutuano codici e linguaggi per veicolare di contrabbando discorsi alti. Con una prima parte perfino teorica molto riuscita, piena di invenzioni, che promette assai. Peccato che poi – il film dura 135 minuti, troppo – Payne non ce la faccia a tirare i fili delle troppe piste narrative e sbandi clamorosamente su cosucce politicamente corrette (quella storia d’amore con la disabile immigrata) e su scenari da setta paranoica che niente c’entrano con quanto ci ha mostrato fino a quel momento. Ed è strano che a cadere in una simile trappola sia uno come lui, autore in passato di sceneggiature di ferro, perfettamente conchiuse, anche troppo. Mentre qui le crepe e le deviazioni incongrue sono un’infinità.
Si parte con una brillantisssima idea, di quelle di cui il cinema ha più che mai bisogno perché vanno a colpire nervi scoperti della collettiva sensibilità e sanno sintetizzare e intercettare sogni, incubi, visioni del presente trasformandoli in spettacolo. Allora: si immagina che in Norvegia uno scienziato, della stirpe dei mad doctor, dopo lunghe ricerche riesca a trovare la formula (di cui grazie a Dio non ci vengono fornite spiegazioni tecnicistiche) per rimpicciolire gli esseri umani (e altri animali). Pezzi di uomini da uno e novanta ridotti sì e no a una manciata di centimetri (e la raccolta degli esseri miniaturizzati con una spatola dal loro letto ormai enorme è scena irresistibile). La scoperta trova subito i suoi entusiasti che decidono di downsaizzarsi, andando a vivere in allegre colonie a loro misura (però protette da insetti e animali che li potrebbero spazzar via in un attimo). Diventano gli eroi e i testimoni di una nuova consapevolezza pro-pianeta terra. Minuscoli come sono, consumano e inquinano in proporzione, cioè quasi niente, i loro rifiuti sono briciole, il loro uso e abuso delle risorse del pianeta vicino allo zero. E poi, vuoi mettere i vantaggi economici? I consumi si riducono anche nella spesa. Sicché con un salario medio o mediobasso, da miniaturizzato puoi concederti un treno di vita da milionario. Come i nostri pensionati che si trasferiscono in Bulgaria o in Portogallo, ma con vantaggi moltiplicati. Tant’è che è stata costruita per i consumisti di pochi centimetri una città alla loro dimensione, Leisureland, con tutti i comfort e i lussi.
Paul e Audrey Safranek sono una coppia medio-qualsiasi di Omaha, vorrebbero una casa migliore ma non se la possono permettere. Da qui la tentazione, che poi diventa decisione, di entrare nel programma downsizing. E comincia (per Paul) l’avventura. Mentre l’apparente felice utopia mostra le prime crepe. La formula viene utizzata anche da cartelli criminali. E contro i molto piccoli cominciano gli attacchi: pagando meno tasse degli altri, ecc. Da commedia il film si incupisce. Ed è a questo punto che purtroppo Payne perde il controllo e non ce la fa a concludere degnamente. Paul scopre che Leisureland ha un’altra faccia, quella degli slums, di uomini e donne bonsai che nella riduzione non hanno trovato la felicità, anzi. O che l’hanno subita contro la loro volontà. Paul diventa amico di una vietnamita punita dal suo governo con il downsizing. Sarebbe anche una svolta interessante, questo indagare altre facce, effetti collaterali e eterogenesi dei fini di quella che appare come una brillante scoperta. Ma Payne non ha il coraggio di percorrere questa direttrice, lascia cadere altre tracce potenzialmente interessanti (il conflitto tra miniaturizzati e no, e la lotta di classe al loro interno), si inventa un’ultima ora balorda e francamente risibile. Viene il sospetto, anche pensando ai suoi film precedenti, che non ce la faccia a uscire da certa piacioneria, che tema di disturbare e allarmare il pubblico. Un bel film per metà, di smaglianti intuizioni, che poi si sgonfia. Matt Damon sempre più inquartato e sempre più credibile come uomo qualunque. Dopo il parziale tonfo veneziano Downsizing non ce l’ha fatta a diventare un successo in America, e lo testimonia la sua esclusione dai premi grossi, Golden Globe e Oscar. Tra le cose comunque da ricordare, l’irresistibile duo Christoph Waltz-Udo Kier e il cameo di Laura Dern.