Recensione: SONO TORNATO, un film di Luca Miniero. Mussolini revenant

Sono tornato, un film di Luca Miniero. Con Massimo Popolizio, Frank Matano, Stefania Rocca, Gioele Dix.
Versione italian del tedesco Lui è tornato, con Mussolini al posto di Hitler. Si immagina che, attraverso una porta tra l’al di là e l’al di qua, il Duce si ridesti dal sonno eterno e piombi nella Roma, nell’Italia, di oggi. Diventerà un star televisiva, intercettando con le sue invettive anti-immigrati e contro il rammollimento dei costumi, le rabbie nascoste del paese. Discontinuo, meno grottesco e urtante dell’originale, indeciso tra commedia e apologo, ma comunque interessante quando induce qualche utile riflessione sul fascismo come emanazione dell’anima nazionale. Di ieri e di oggi. Voto 6+
Era meglio l’originale tedesco, Lui è tornato, dove Lui sta, ovvio, per Adolf Hitler. Tratto da un libro assai venduto da quelle parti, il film, passato un due-tre anni fa nelle nostre sale e subito sparito nel nulla cosmico, immaginava un Füher ritornante dall’aldilà per via di una faglia spaziotemporale apertasi chissà come in una Berlino, in una Germania dell’oggidì a lui sconosciuta e incomprensibile. Sono tornato ne è la versione italiana, forse l’unico adattamento possibile al di fuori dei confini germanici (tutt’al più in Russia, muovendosi su un altro versante ideologico del totalitarismo, potrebbero provare con Stalin, ma mi pare improbabile dopo che Putin ha messo al bando Morto Stalin se ne fa un altro per oltraggio alla russicità e alla patria): naturalmente, questa nostra versione, con Benito Mussolini al posto dell’Adolfo puntigliosamente ricalcata frame by frame su quella tedesca. E forse ci sarebbe voluta qualche invenzione in più per non finire, com’è finita, in una copia anche decorosa ma per forza non all’altezza dell’originale (tema per studiosi di estetica e di comunicazione: la copia è sempre inferiore all’opera primigenia? E non ditemi che non ha più senso dopo Benjamin parlare di originale e di repliche). Operazione interessante, per carità, ma che non ha la stessa carica e l’impeto grottesco del film made in Deutschland. Come depotenziata. Con un messaggio politico incorporato e però ambiguo, polisensico, riflettendo la complessità del sentire collettivo e le pulsioni segrete e oscure che connettono – ancora – l’Italia al Duce. Qualcosa che ci appartiene, che è biografia della nazione, e di cui non ci siamo mai liberati perché non ci abbiamo mai fatto i conti. I conti, intendo, delle nostre collusioni di popolo con il signore del Ventennio, nonostante che gente illustre e di specchiata onestà intellettuale come Renzo De Felice ci abbia provata e abbia cercato di infrangere la falsa coscienza di cui l’Italia si è ammantata, per andare al cuore nero della questione.
Io non ho creato il fascismo, l’ho solo tratto dall’inconscio degli italiani: questa frase di un Benito che sembra aver letto incredibilmente Freud e Jung, e pronunciata nel corso di un’intervista da lui rilasciata nel 1945 al giornalista (fascista) Ivanoe Fossani, appare in sovrimpressione in Sono tornato. E son parole, certo autoassolutorie di Mussolini ma anche brucianti nell’indicare le nostre responsabilità, su cui ovviamente la nazione s’è guardata bene dal meditare. Più comodo dare addosso ai fascisti di ieri oggi domani, ai casapoundisti sempre pronti a risorgere, come se il fascismo fosse solo dei fascisti dichiarati e non riguardasse invece l’animus nazionale. Frase che riassume anche il senso più evidente di questo film discontinuo che però un suo segno lo lascia. Certo difficile da collocare all’interno dei generi e dei modi del nostro cinema. In parte commedia, in parte apologo esemplarissimo, in parte racconto morale o moraleggiante, in parte film di impegno come si diceva decenni fa. In un’indeterminatezza anche interessante, ma che ha spiazzato il pubblico, tant’è che al primo weekend gli incassi non sono stati stellari. D’altra parte, qual è mai il pubblico di un film così? Non i venti-trentenni per i quali Mussolini è una pallida figura di sfondo di una Storia che non conoscono e non saprebbero periodizzare (me li immagino i tormenti e i dubbi di un giovane esaminando di fronte a un’eventuale domanda sul fascismo: sarà successo prima o dopo la prima guerra mondiale?, si chiederà; c’entrerà o no col Risorgimento? Mussolini era un contemporaneo di Napoleone o di Garibaldi?). Quanto al pubblico soi disant colto e informato che è poi quello che al cinema ancora va, mica può piacere questo Sono tornato che lascia da parte ogni facile retorica antimussoliniana per metterci tutti, post resistenti e post fascisti, davanti allo specchio. Bisogna riconoscere al regista Luca Miniero, che già con le versioni italiane frame by frame ci aveva provato con superiore successo rispetto a stavolta (Benvenuti al Sud, travolgente italian version del francese Giù al Nord/Bienvenue chez les Ch’tis), un bel coraggio, al di là del risultato.
Roma, oggi. In un luogo creduto punto di passaggio tra al di là e al di qua si ridesta, per via di un petardo, il Duce giacente nel sonno eterno poprio lì sotto, e oplà, eccolo di nuovo tra di noi, con la divisa, il berretto, lo scatto automatico del braccio nel saluto romano, gli stivaloni neri (quelli che Forattini attribuiva a Craxi). Lo soccorre un edicolante convinto si tratti di un povero mentecatto, mentre lui (Lui?), senza manco ringraziare lo insulta per la sua omosessualità (si sa, l’orrore per il ‘ricchione’ è parte strutturante, fondativa, dell’identità ducesca, del superomismo macho-fascio). Il film procede per un po’ sul binario narrativamente ben temprato dell’irruzione dell’alieno in questo mondo qui e ora, con gli ovvii effetti comici. Un marziano a Roma, e stavolta il marziano viene dal sottosuolo dell’inconscio nazionale ed è ancora nostro parente stretto. Fino a quando un filmmaker-documentarista-giornalista eternamente scacciato dalle tv in cui lavora lo incrocia e fiuta il colpo. Pur credendolo un matto che si crede Benito, si rende conto di come quell’uomo, revenant o falsario che sia, nel suo parlare in libertà e in modi politicamente scorrettissimi e oltraggiosi, possa risultare seducente agli occhi di un’Italia insicura e infragilita, e intercettarne la rabbia, il rancore, il livore. Benito inveisce contro gli immigrati e le mescolanze razziali improprie, sproloquia contro una nazione rammollita e intorpidita, urla la propria indignazione per la virilità perduta, si incazza per la stupidità di una tv rigurgitante di falsi chef, aspiranti chef, gente e gentaglia che cucina assaggia impiatta (su questo Benito siamo d’accordo con te, ma solo su questo). Una volta finito in tv, grazie anche a una scaltra manager, dando corpo col suo vaneggiare alla parte oscura della nazione fa salire lo share a livelli mai visti e si trasforma in una celebrity. Ora, non sto a dire di più. Il dittatore star mediatica stava già tutto, e meglio, nel tedesco Lui è tornato, ma resta una bella intuizione drammaturgica, e un dispositivo assai efficace per mettere a confronto, e cortocircuitare, il Duce mai morto e la nazione che lo ha partorito. Ieri popolo plaudente a Piazza Venezia, oggi pubblico televisivo (ancora non si affronta il circo dei social, se non marginalmente). Il film si sfilaccia spesso, non tutte le invenzioni sono efficaci, il bersaglio della satira resta indefinito e oscillante, e alla fine l’impressione è di una trovata brillante che si attorciglia su se stessa senza produrre sviluppi. Resta, ancora più forte che nell’originale tedesco dove era pressoché impossibile stare dalla parte dell’Hitler revenant, l’indecifrabilità del personaggio Mussolini. Per via anche di una recitazione di Massimo Popolizio attento a non farne un macchiettone parodistico (mai si rifanno i modi tonitruanti del Ducissimo comiziante a Piazza Venezia e le boriose e ridicole pose manofiancute e mascellute), in alcuni passaggi ci si rende conto, con sgomento e contro la nostra stessa volontà, di simpatizzare per lui. Chi è davvero Mussolini secondo questo film? L’ambiguità è la cifra di Sono tornato. Rischiosa quando sembra assolutoria o perlomeno indulgente verso Mussolini, salutare quando induce alla riflessione sugli aspetti più limacciosi del nostro inconscio, e le nostre inconfessabili complicità. Non convince invece il film quando ideologizza e esplicitamente politicizza, quando ci mostra – e son scene documentaristiche, riprese di veri romani e veri italiani (le facce sono pixelate) – la gggente che al passaggio del Duce alza il braccio nel saluto romane. E sembra di sentirlo il grido della folla: Benito torna! Come a dirci che il fascismo non è mai morto, che è sempre lì pronto a ghermire la democrazia. Io dico: magari fosse quello il pericolo, perché lo sappiamo riconoscere e perché i mezzi per rintuzzarlo li abbiamo. No, l’aspetto più disturbante, e interessante, del film di Luca Miniero è quando ci fa intuire le segrete e mai bene indagate connessione tra tutti noi, tra il nostro essere profondo collettivo, e Mussolini. Se il fascismo è stato emanazione dell’inconscio nazionale, allora quell’inconscio – mai rischiarato dalla luce dell’autocoscienza e dell’autocritica – potrebbe creare nuovi fantasmi, nuovi mostri autoritari e totalitari. Non una riedizione tale e quale del fascismo, ma una sua prosecuzione con altri mezzi e in altri modi e personaggi. Magari insidiosamente pronti ad autoproclamarsi antifascisti.
Postilla: “sono il vero e l’originale, anche se in tanti hanno poi cercato di imitarmi”, si inorgoglisce il Mussolini redivivo di Miniero. Il quale intanto ci mostra le immagini dei seguenti quattro (nell’ordine): Bettino Craxi, Silvio Berlusconi, Matteo Renzi, Beppe Grillo. A me questo menar fendenti a destra, a sinistra, al centro di ieri e oggi mi è parso una qualunquistica bagaglinata.

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