Classical Period, un film di Ted Feldt. Con Calvin Engime, Eveyn Emile, Sam Ritterman. Forum.
Forum non mentisce la sua fama di sezione più audace e esplorativa della Berlinale. E apre con questo film di parola su un gruppo di lettori compulsivi di Philadelphia. Crossover vertiginosi tra Dante, Simone Weil, Albert Hoffman. Cinema che nega se stesso, che rifugge da ogni lenocinio estetizzante per mettersi al servizio dei personaggi e della loro passione per i libri. Voto 7 e mezzo
Forum, ovvero la sezione più interessante della Berlinale. Lo si sa. Lo ribadisce l’ultimo numero dei Cahiers du Cinéma intervistandone il direttore Christoph Terhechte. Qualcuno, anche più intransigente della rivista di cinema più temuta al mondo, va oltre, sostenendo che Forum è l’unica, vera ragione per cui valga la pena venire alla Berlinale. Forum è il serbatoio e l’incubatrice delle opere meno mainstream, le più audaci, a volte le più matte, contorte, indigeribili. E però se vuoi capire da che parte sta andando il cinema oggi, almeno quello che si dice o è detto d’autore, non puoi farne a meno. Sicché ieri, giorno di apertura del festival, dovendo scegliere, per i soliti problemi di sovrapposizione, tra il primo press screening di Forum, questo Classical Period (produzione americana ultraindie) e un film tedesco di sicure nobili intenzioni ma temo didascalicissimo di un’altra sezione (The Silent Revolution: ai tempi della DDR, 1956, una classe liceale si reca a Berlino Ovest e vedendo un cinegiornale apprende della rivolta di Budapest: conseguente presa di coscienza e ribellione alle autorità al ritorno), ho scelto Forum. Sperando di non pentirmi. Classical Period, uno di quei film estremi ai confini di tutto, pure dello stesso cinema, oscillanti tra la scommessa folle, l’inutilità e lo zero narrativo, eppure misteriosamente protesi sull’abisso di un altro possibile cinema. Film di parola, con l’immagine posta totalmente al suo servizio fino alla schiavità, e dunque negazione programmatica dello specifico filmico. Flm che si nutre della cultura scritta, dei libri, della loro lettura, e ne fa il solo oggetto del proprio discorso. Mentre la messinscena, la parte visiva, è qualsiasi, anonima e incolore fino alla sciatteria. Formato desueto 4:3, riprese semisfuocate e tremolanti tipo dilettantesco super8 o 16 millimetri, attori-non attori. Anzi, confusione totale e voluta tra realtà e sua rappresentazione, tra documentarizzazione e fictionalizzazione (i nomi di attori e personaggi coincidono), com’è d’uso tra molti lavori da festival. Eppure questo Classical Period parlatissimo (in inglese con sottotitoli in tedesco) e snobisticamente, spocchiosamente anticinematografico, finisce con l’ipnotizzarti come certe immobili warholate di una volta. Volendo, si potrebbe ravvisare nell’incessante conversare e scambiarsi opinioni e giudizi dei tre personaggi (cui si potrebbe aggiungere un quarto) un che di rohmeriano. Con la differenza, radicale, che qui non si vuole costruire la minima pur labile narrazione. Classical Period potrebbe cominciare dove finisce, e non si noterebbe la differenza. Drammaturgicamente piatto. Ma a colpire e perfino commuovere è come vada a occuparsi di coloro che nessun cineasta al mondo andrebbe a riprendere, che nessun giornalista racconterebbe. I nerd della cultura. Gli impitonati dei libri e dei loro cunicoli e labirinti argomentativi. Nerd per la devozione alla loro passione, per il loro muoversi in un universo chiuso e autoreferenziale. Nerd per come non si curano del proprio corpo e del proprio apparire, di una bruttezza cui oggi non è più concesso il diritto di esistenza, e invece da loro si direbbe accettata e mostrata come atto di sfida e resistenza. Uomini e donne dediti ossessivamente alla lettura, alla cultura preferibilmente classica, cose oggi tenute in nessun conto e considerate perlopiù da sfigati. Si ritrovano – siamo a Phladelphia, “una città senza archiettura” dice uno di loro – in una specie di cenacolo in cui si legge Dante, guidati dal leader del gruppo, Cal. Prodigiosi crossover, improvvisi e liberissimi slittamente da Pia de’ Tolomei ad altre opere e autori. Il rotondo Sam si lancia in ardite connessioni tra lo scopritore dell’Lsd Albert Hoffman e le classificazioni delle malattie mentali in epoca preilluminista. L’occhialuta, qualunquissima Evelyn, mente fine e tormentata, sofferente di insonnia e dunqua avida lettrice notturna, lancia ponti tra Dante e Simone Weil. E intanto Cal racconta l’incredibile storia di Pater Campion, gesuita che continuò a celebrare messa clandestinamente nell’Inghiterra riformata e antipapista e finì impiccato. Nessuno di loro è un intellettuale riconosciuto, tutti sono spiriti inquieti e non conformisti, disposti a tutto per un libro raro e un’illuminaziomne in più. Non succede niente, oltre al loro discutere. Nessuna indagine sulle loro vite, su quello che c’è al di là della loro identità di lettori. Cal, Evelyn e Sam sono quello che leggono, uomini e donne-libro, nient’altro. Ma oggi è moltissimo. Un film che non somiglia a nessun altro, ipnotico, e alla fine incrediblmnete assai applaudito. Il regista si chiama Ted Fendt. Lunga vita a Forum e cento, mille film così. Assurdi e impossibili. E che fanno della propria bruttezza visiva una scelta etica ed estetica contro l’impero del bello.
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