Berlinale 2018. Recensione: DAMSEL dei fratelli Zellner. lI primo brutto film del concorso è servito

Damsel, un film di David e Nathan Zellner. Con Robert Pattinson, Mia Wasikowska, David Zellner, Nathan Zellner, Robert Forster. Competition.
Dopo cinque film belli o almeno decorosi, è arrivato l’orrore con questo Damsel. Che, volendo decostruire e detournare il western, lo butta in farsaccia demente più che denenziale. Con personaggi scemi e/o repulsivi. Oltretutto lungo due ore. Peccato per Robert Pattinson, che si butta generosamente in un ruolo impossibile. Voto 4
Cominciavo a preoccuparmi: dopo cinque film di questa Berlinale non ne avevo bocciato nessuno. Voto più basso, 6 e mezzo all’irlandese Black 47. Possibile? Quando ormai temevo di essere sprofondato nel buonismo recensorio, ecco al sesto film finalmente l’orrore, un film da stroncare. E non per chissà quale pregiudizio, ma per bruttezza evidente e conclamata del cineoggetto visionato e attenzionato. Titolo e autori del misfatto: Damsel dei fratelli americani David e Nathan Zellner. Due peraltro indipendentissimi e dunque sarebbe bello sostenerli, ma come si fa sant’Iddio dopo una cosa così? Andando a controllare il loro curriculum, mi sono reso conto di aver visto qui alla Berlinale un quattro anni fa il loro esordio alla regia, Kumiko, non ricordo se nella sezione Panorama o a Forum. Ricordo perfettamente però come mi avesse fatto survoltare di rabbia quella storia su una matta giappones la quale, avendo visto in dvd o addirittura in vhs Fargo dei Coen, si mette in testa di raggiungere quell’ameno paesello sprofondato nel niente americano per ritrovare il tesoro nascosto a fine film. Ora, l’idea di una che scambia il cinema per la  realtà poteva anche portare da qualche parte interessante, peccato che Kumiko si attrocigliasse intorno alla sua protagonista sprofondando nella pazzia con lei. Anyway, ecco recuperata la mia recensione di allora (mi rendo conto adesso di avergli assegnato un 2, uno dei voti più bassi nella storia lunga qualche anno di questo blog). Questo per dire che tra me e i fratelli Zellner non c’è mai stata una profonda intesa. Disamore, orrore e rabbia confermati dopo la visione di Damsel. Che neanhe la presenza del sempre adorabile Robert Pattinson, commovente per come si butti con assoluta dedizione in un ruolo impossibile, ce la fa a riscattare. Anche perché a fargli da contrappeso c’è una delle giovani attrici più malmostose in circolazione, lanciata un po’ di tempo fa come la nuova Meryl Streep, intendo l’australiana Mia Wasikowska. Bene (anzi per niente), Damsel è coerente con la demenzialità, la stupidità, la repulsività di Kumiko. Potenziate stavolta da qualche dollaro in più di budget, dalla presenza di un paio di star o quasi star, dall’ambizione evidentissima di riscrivere, detournare, stravolgere, deridere-omaggiare il genere di tutti i generi americani, il western. Si parte anche bene, con una scena di ballo notevolissima che rimembra quella leggendaria di I cancelli del cielo, e però astutamente (de)costruita dai fratelli Zellner inquadrando dapprima piedi e gambe dei ballanti e poi allargando il quadro a mostrarne corpi e facce. Con chiusura sullo sguardo complice tra Samuel (Robert Pattinson) e Penelope (Mia Wasikowska). Momento che si rivelerà fondamentale per quanto narativamente seguirà. Nel successivo quarto d’ora d’ora si precisa meglio la cifra di asurdo e grottesco impressa dagli Zellner, con anche qui ottimi momenti di cinema. Lo sbarco di Samuel/Pattinson con il suo pony biondo e la chitarra a tracolla, l’arrivo in un villaggio di freak, un’impiccagione insieme tragica e ilare ci illudono su Damsel, ci fano sperare in un bel film. Non sarà così.
Samuel è tornato nella wilderness del West, afidando la natura e ogni possibile altro pericolo, indiani compresi, per ritrovare l’adorata Penelope e sposarla. Tant’è che in saccoccia ha un anello con rubino a forma di cuore e ha convinto a seguirlo un sedicente pedicatore che celebri le nozze a damigella ritrovata (naturalmente saà un’odissea signora mia, proprio nel senso di corposi riferimenti a Omero, a cominciare dal nome della signora oggetto della ricerca). E via con l’avventura picaresca tra boschi e praterie e valli solitarie. Fino a qui il film regge, poi è lo sfascio. Sarà che non ho i recettori giusti per certo greve umorismo giovanottesco, sarà che anche i comici fini a me sembrano sempre un po’ grossolani, ma io questo film a un certo pnto ho cominciato a non sopportarlo più. Sì, certo: Damsel lo si può anche vedere come puro cinema dell’assurdo, un’avventura in una landa sterminata e desolata dove spuntano personaggi fuori di testa, succedono cose insensate, niente e nessuno è quel che sembra, e l’amor cavalleresco-cortese rievocato dal titolo di Samuel per Penelope si risolve in uno smacco clamoroso. Perché Penelope non è rimasta ad aspetare il suo Ulisse. Peccato che la giostra degli eventi abbia la velocità di un triciclo da infanti, che Damsel si perda in scenatacce da plotone d’esecuzione (scusate, sognori registi, dovremmo ridere quando quel ticio, peraltro interpretato da uno di voi due, si mette  sparare alla corda che non riesce a domare e traformare ocme vorrebbe in un nodo scorsoio? ). Oltrettutto Damsel è di una noia mortale e nn si decide mai a trovare un finale (dura quasi due ore, ma perché?), e quando sembra averlo trovato e noi già pregustiamo l’uscita dalla sala e la libertà, ecco che i due sadici fratelli introducono un nuovo personaggio, e la giostra ricomincia con la sua lentezza esasperante. Abbiamo capito che qui si prende un genere illustrissimo per farci la predica su quanto sia insensata la vita e su come i nostri sogni e desideri siano fatti di niente e destinati a niente. Cenere alla cenere. Ma per favore, non fateci sentire stupidi. Alla fine a uscire vincitore da Damsel è solo il pony biondo, la vera star del film.

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