La calda vita di Florestano Vancini, Rete Capr (66 dt)i, ore 22,30. Giovedì 28 giugno 2018.
Se c’è una Golden Age del cinema italiana, va di sicuro collocata nei primi anni Sessanta quando maestri come Fellini, Antonioni, Visconti raggiunsero il loro apice (i relativi capolavori li lascio elencare a voi). Mentre nel cinema popolare, soprattutto nella commedia, si mettevano a segno cose memorabili con Risi e Monicelli, e c’erano abbastanza risorse per poter incubare nuovi autori, esplorare un altro cinema. Nascono allora cinematograficamente Ermanno Olmi, Pier Paolo Pasolini, i Taviani, Elio Petri, Florestano Vancini, nomi che avrebbero lasciato un segno forte, pur se ognuno a modo suo. Ed è del ferrarese, come Antonioni!, Vancini questo oggi dimenticato ma assolutamente da recuperare per molte ragioni La calda vita, anno 1964. Tratto dal romanzo di uno scrittore istriano, Pier Antonio Quarantotti Gambini, stabilitosi a Venezia dopo l’esodo degli italiani d’Istria e Dalmazia all’avvento in quelle terre di Tito. Quel mondo assai intriso di umori mitteleuropei torna nella produzione letteraria di Quarantotti Gambini, in La rosa rossa in primis, da vedere, e leggere, anche come rievocazione e nostalgia di una cultura scomparsa. Quando Vancini realizza questo film lo sposta però nel tempo e nello spazio, portandolo dagli anni immediatamente precedenti la WWII ai Sessanta e dall’Istria alla Sardegna del mare e delle vacanze. Racconto di amori complicati e di formazione, un piccolo Jules e Jim, ma assai meno armonico e più sghembo, più contorto. Con al centro una giovane donna, Sergia, che in una villa sul mare di Sardegna si porta due coetanei, entrambi innamorati di lei. Ma Sergia è una ragazza capricciosa e ambigua, e crudele, si offre e poi si ritrae, in un gioco di seduzioni e promesse mai mantenute che attua ora con Freddy ora con Max. Si darà invece, dopo aver esasperato i suoi compagni di vacanza, al ricco proprietario della villa quando lui si paleserà a interromoere quel complicato e frustrante triangolo. Con esiti drammaticissimi. La location rimanda inevitabilmente a quella dell’Avventura di Antonioni, il conterraneo cui Vancini guarda per La calda vita, un teorema su quella che allora veniva chiamata alienazione, lo svuotamento dell’esperienza, il dolore diffuso benché apparentemente senza causa che accompagnava come un’ombra l’arricchimento del paese. La calda vita è la sua protagonista, una meravigliosa Catherine Spaak simbolo della sua epoca, allora superstar del nostro cinema, che qui ripete il suo personaggio di ragazza manipolatrice e sottilmente perversa che le era stato cucito addosso da Luciano Salce in La voglia matta. Con lei Jacques Perrin e Fabrizio Capucci, a quel tempo anche suo marito. Il quarantenne ricco e un po’ losco e Gabriele Ferzetti. Spaak, allora anche diva delel classifiche musicali e dei juke-box, canta Non è niente, autore Carlo Rustichelli, incredibilmente ripresa un paio di anni fa nel poliziesco ultraindie War on Everyone, dato prima alla Berlinale e poi al TorinoFilm Festival.
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