M, un docufilm di Yolande Zauberman. Concorso internazionale.
Un documentario che va a indagare i casi di pedofilia all’interno di una comunità ultraortodossa di Israele. Guida in questo viaggio è Menahem, che gli abusi li ha subiti e li ha denunciati. M riesce a evitare miracolosamente le semplificazioni e il sensazionalismo di tante inchieste sulla pedofilia e a restituircene, attraverso molte voci, la complessità. Voto tra il 6 e il 7
Un documentario sulla pedofilia, sulle vittime, su chi abusa, ma che miracolosamente riesce ad andare oltre la pura denuncia e la peraltro giusta e sacrosanta indignazione. La francese, mi par di capire ottima conoscitrice di Israele, Yolande Zauberman si addentra nelle pieghe, negli interstizi, nelle zone d’ombra e penombra di uno dei fenomeni più mediatizzati degli ultimi anni evitando il rischio, sempre presente quando se ne parla, della semplificazione e soprattutto del voyeurismo, del sensazionalismo, dell’exploitation. La sua guida, il suo Virgilio in questo che è (anche) un viaggio all’inferno, è il trentenne Menahem Lang, ora abitante a Tel Aviv, ma cresciuto nel sobborgo di Bnei Brak, un universo a sé, massima concentrazione nel paese di ebrei ultraortodossi (e la classificazione da parte di un ragazzo delle varie sottocomunità – si distinguono tra loro per piccole ma assai significative varianti dell’abbigliamento – è tra le parti più belle del film). Menahem è stato un eccellente cantore bambino della liturgia ebraica, e ancora oggi canta con una maestria abbagliante, dandocene più di una dimostrazione durante il film. A lungo allievo di una yeshivà, è stato per anni oggetto e vittima della passione pedofila del suo rabbino. La sua denuncia, qualche anno fa, è stato uno shock per tutto Israele, suscitando una controversia che non è mai finita. È lui a ri-raccontare alla regista la propriaa storia, lui a metterla in contatto con altri ragazzi e giovani uomini che sono stati e alcuni lo sono ancora oggetti sessuali nelle scuole talmudiche. Ostracizzato dalla famiglia, dalla comunità dopo la rivelazione, Menahem è però diventato indispensabile riferimento per chi abbia passato esperienze simili alla sua. E sono tanti, contattati da lui, a raccontare a Yolande Zauberman le violenze subite, e quel peculirare stato psicologico per cui succede che la vittima si leghi al suo carnefice. M è straordinario per come inneschi, in Menahem e negli altri, un catena di autoriflessioni e di pensieri e di ricordi per niente ovvii. Il silenzio della vittima, che può anche scambiare le attenzioni dell’abusante per una dimostrazione di affetto. L’interiorizzazione dello stigma. Il sentirsi colpevoli e impuri facendo proprio la riprovazione altrui. Il lungo e complicato tragitto per uscirne. I momenti più straordinari sono le testimonianze del padre di un abusato e di un giovane violentatore che ora sta cercando di emendarsi. Mentre si alternano sullo schermo le tante immagini della comunità, la rigida separazione nei momenti cerimoniali tra maschi e femmine, l’indiscussa autorità dei rabbini. Quanto a Menahem, non si sottrae a un certo protagonismo: da quando si è confessato in tv è diventato a modo suo una star e sa di esserlo, ma molto gli si perdona perché molto dà al film. Durante il quale sentiamo molto spesso parlare quella meravigliosa lingua che è lo yiddish, obbligatorio all’interno di Bnei Brak (e dunque ottimamente conosciuta da Menahem), ma ormai pressoché sconosciuto alle giovani generazioni d’Israele. Curioso sentire Menahem quando, parlando dei travestiti e dei transessuali, li chiama Coccinelle. Come la prima grande vedette transessuale del Carousel che incantò la Parigi, e il mondo, dei primi anni Sessanta, entrando anche nel film di Alessandro Blasetti Europa di notte, matrice di ogni successivo mondo movie. Evidentemente in Israele il suo nome d’arte è entrato nel linguaggio corrente per dire chi abbia cambiato sesso o stia transitando tra i due.
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