Song’e Napule dei Manetti Bros., Rai 4, ore 21,05. Sabato 6 ottobre 2018.
Un film girato dai Manetti per la tv, eppure paradossalmente il loro più riuscito. Un thriller napoletano che permette ai due fratelli registi di scatenarsi in un tripudio di estetica camorristica e di (adorabile) kitsch neomelodico. Meglio del succcessivo, e più fortunato, Ammore e malavita. Voto tra il 6 e il 7
Recensione scritta dopo la proiezione al festival di Roma 2013.
Il più lungo e convinto applauso, finora, del popolo festivaliero di Roma. Sarà che i Manetti sono dei totem assai venerati della cineromanità, fatto sta che Song’e Napule ha suscitato entusiasmi francamente imprevisti e imprevedibili. Eppure questo è il lavoro meno personale dei due fratelli, anche il meno ambizioso, con impresse evidentissime le stigmate del prodotto televisivo che è (immagino, un film da spezzare in due puntate): il meno personale e, paradossalmente, anche il loro più riuscito. Dovendo muoversi nella gabbia rigidissima imposta dalla destinazione televisiva, i Manetti finalmente si autodisciplinano, abbandonano certe ubbie autoriali e certi vezzi da metacinema, come nel tremendo Paura dell’anno scorso. Un mite poliziotto napoletano, agente da ufficio e da scartoffie, si ritrova di colpo coinvolto in una missione pericolosissima della squadra anticrimine volta alla cattura di un sanguinario quanto misterioso killer della camorra. Visto che è un pianista con tanto di diploma al conservatorio, lo infiltrano quale tastierista nella band neomelodica che canterà al matrimonio della figlia di un boss, matrimonio cui interverrà anche il ricercato. Che lui dovrà riconoscere per via di un dito mozzo e segnalare ai colleghi appostati fuori. La parte action è risibile, tutto il finale dell’inseguimento è imbarazzante per goffaggine e insensatezza, ma la parte comedy funziona benissimo, con puntuali citazioni dei grandi caratteristi napoletani del passato, soprattutto nel macchiettone del questore Buccirosso. I Manetti si scatenano quando si tratta di mostrarci il divo neomelodico Lollo Love (un bravissimo e autoironico Giampaolo Morelli) e il suo gruppo, in un tripudio di cattivo gusto musicale, cuori e cuoricini e tamarre campane in deliquio e in orgasmo per il divo. Bravissimi anche, i Bros., a riprodurre la ghiotta estetica camorrista nella lunga sequenza del matrimonio, che ricorda quella di Reality di Garrone, anche se grazie a Dio le pretese sono più basse, e dunque il risultato più divertente.
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