Vado a scuola, docufilm di Pascal Plisson, Tv 2000, ore 21,05. Giovedì 11 ottobre 2018.
Recensione scritta dopo la proiezione del film alLocarno Film Festival 2013.
Vado a scuola (Sur le chemin de l’école), un documentario di Pascal Plisson. Con Jackson Saikong, Salome Saikong, Samuel J. Esther, Gabriel J. Esther, Emmanuel J. Esther, Zahira Badi, Noura Azaggagh, Zineb Elkabli, Carlito Janez, Micaela Janez. Francia.
La cinepresa segue alcuni bambini e bambine che in quattro parti periferiche del mondo – Atlante marocchima, Kenya. Sud India, Patagonia – ogni giorno devono affrontare un lungo e anche pericoloso viaggio per andare a scuola. Un film a modo suo avventuroso, tra spettacolari scenari naturali. Edificante e politicamente correttissimo. Neodeamicisiano. Voto 5 e mezzo
Uno di quei film di buone intenzioni e ancor migliori sentimenti il cui scopo è di sensibilizzare il ricco, viziato e pure vizioso e crapulone Occidente (ma per quanto ancora ricco?) su disagi e svantaggi dei paesi terzi e quarti. Quello che facevano molti decenni fa nelle campagne lombarde i missionari che, nell’annuale settimana a loro dedicata in ogni parrocchia, venivano a predicare e render conto delle miserevoli condizioni in cui versavano i loro “negretti” là nelle capanne, naturalmente chiedendo ai buoni parrocchiani un sostegno pecuniario. Son cambiati i tempi, ma l’intento pedagogico, di educazione delle insensibili masse europeee e americane, è rimasto lo stesso, Certo, cambiano anche i bersagli, i modi, i mezzi, i linguaggi. Non più la religione, ma la religione laica dell’engagement social-politico. Questo film, certo decoroso per ciò che ci mostra e ci vuole trasmettere, è esempio perfetto e fin quasi paradigmatico di un approccio politicamente correttissimo e di quel che un tempo si sarebbe detto terzomondismo e miserabilismo. Un prodotto, credo, che ha ottenuto l’avallo e il sostegno di un qualche organizzazione internazione, pubblica o privata, imnpegnata nell’aumanto del tasso di scolarizzazione dei paesi periferici. Che è, intendiamoci, un nobile impegno per un obiettivo cruciale. Solo che la predica non sempre funziona al cinema, anzi spesso no, e tende inesorabilmente a scivolare giù sulla china del propagandistico. Pericolo che non evita questo Vado a scuola, buon tititolo italiano introdotto dalla distributrice Academy Two dell’originale Sulla strada della scuola. Il quale però rende meglio quanto succede e vediamo sullo schermo. In quattro parti diverse del mondo quattro bambini (più eventuali compagni e/o fratelli) devono intraprendere un lungo e certe volte pericoloso cammino per arrivare là, nell’aula dove un maestro impartirà loro l’istruzione dovuta. Sulle montagne dell’Atlante marocchino Zahira saluta la famiglia, va a prendere altre due compagne, e con loro si avvia a piedi per un lungo viaggio di un giorno e più che li porterà in città dove per resteranno per tutta settimana alloggiate in uno studentato. Nella savana del Kenya Jackson si avventura con il fratello minore costeggiando i sentieri degli elefanti, stando ben attento a non incrociarli ed irritarli, che sennò son guai. Va più di fretta che può perché stamattina l’alzabandiera tocca a lui e non vuole perdere quel momento di gloria. In Patagonia Carlito deve ricorrere al cavallo, altrimenti non ce la farebbe mai ad arrivare in tempo utile, con lui anche la sorella minore. Nel Sud dell’India Samuel, paraplegico, viene spinto sulla sua sedia a ruote verso la scuola dai due fratelli, in un percorso molto faticoso in cui ci saranno piccoli incidenti e contrattempi, come la bucatura di una gomma. Coinvolgente, come no. Il pubblico di Piazza Grande a Locarno ha seguito con la massima partecipazione e il ciglio un filo umido, scoppiando alla fine in un applauso fragoroso. Del resto, bisogna averci un cuor di pietra a resistere di fronte a dei così bravi ragazzi che ne passan di ogni tutti i colori pur di poter studiare. Mica come i bambini e i ragazzetti fanigottoni e fancazzisti di cui son piene le famiglie delle nostre parti. Che dopo la visione di questo film si leverà spero il grido: “Nella savana africana tra gli elefanti ti mando, nella savana!”. Poi, certo, il film è quello che è, predicatorio e a massima edificazione delle nostre anime insensibili e corrotte dalla troppo mollezze, però il gran mestiere gli va riconocciuto al regista Pascal Pisson, e anche il notevole sforzo nel girarlo. Indubbia l’abiltià di costruire le quattro storie, mantenendo noia e ripetitività sotto il livello di guardia, anche se, immagino, come sempre più spesso nei documentari, si potrebbe essere ricorsi a un minimo di fictionalizzazione (e anche a un massimo). Ottimi paesaggi, ça va san dire, per tutti gli appassionati di Avventure nel mondo. Il classico film per il quale si deportano intere scolaresche recalcitranti e riottose ai cinema. Presidi, insegnanti, lasciate stare.
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