Fango e gloria – La grande guerra di Leonardo Tiberi, Rai Storia, ore 21,04. Domenica 4 novembre 2018.
Uscito in sala e passato in tv nel 2015 in occasione dei cento anni dall’entrata in guerra – la prima mondiale, la grande, la terribile – dell’Italia contro gli Imperi centrali. Mandato in onda stasera, ovviamente da Rai Storia, a ricordare i cento anni dalla fine della guerra, e dalla vittoria nostra in quell’immane scontro che segnò una spartiacque nella storia d’Europa: niente sarebbe stato più come prima e, crollati gli antichi equilibri, il continente devastato si farà terreno di coltura e incubatore dei peggio totalitarismi. Uno di quei film realizzati (anche) a uso di scolaresche (de)portate di malavoglia al cinema a cibarsi di pezzi di storia patria, regolarmente maldigeriti se non rigettati. Al netto della sua missione civilizzatrice di scolari svogliati e disinteressati, questo Fango e gloria appare, a uno sguardo esterno e oggettivo, un esperimento interessante, ancorché non perfettamente riuscito. Perché ci vuole coraggio per trasformare, come ha fatto il regista Leonardo Tiberi, un’operazione celebrativa in un cinema spurio al limite dello sperimentale dove si mescolano fictionalizzazione e ricorso ad apparati visivi e documenti d’epoca recuperati dall’immenso archivio dell’Istituto Luce. Fango e gloria immagina e mette in scena la vita di un ragazzo di una città emiliana alla vigilia della Grande Guerra, quando qualcuno – come lui, come suo padre – ancora sperava non si finisse nel precipizio, e invece. Lo vediamo, Mario, con gli amici Agnese e Emilio, in una giovinezza di normale felicità e gaiezza, a formare un triangolo fors’anche di passioni e di oscure e complicate attrazioni. Poi, per i due maschi, la chiamata alle armi, l’invio al fronte, la guerra di trincea contro gli austriaci. Mentre in montaggio alternato scorrono i filmati documentari ricolorati secondo l’uso dell’epoca, ed è uno dei lati più interessanti di questo anomalo film patriottardo ma non schiavo della retorica. L’intuizione narrativa, non banale, è di fare del povero Mario, ucciso al fronte, e mai identificato dopo la sua morte, il milite ignoto cui l’Italia si inchinerà lungo il tragitto che ne porterà il corpo fino a Roma. Sicché Fango e gloria si configura alla fine come la vita immaginata e presunta del giovane uomo senza nome diventato il simbolo di tutti i morti di quell’ecatombe chiamata WWI, e bisogna riconoscere che si tratta di un’idea piuttosto brillante. E fa niente se la vita di Mario e dei suoi amici, forse (forse) modellata sulla prima parte di Novecento di Bertolucci, tende poi a ricordare più certe edificanti quanto anonime fiction di Rai Uno. Con Eugenio Franceschini.
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