Filmmaker – Festival Internazionale di Cinema, Milano, dal 16 al 24 novembre 2018. Allo Spazio Oberdan e al Cinema Arcobaleno. Il festival e le sue sezioni. Il calendario.
‘Monrovia, Indiana’ di Frederick Wiseman

‘Fausto’ di Andrea Bussmann

‘Premières Solitudes’ di Claire Simon

Carta Bianca a Luca Guadagnino
Parte con il nuovo Frederick Wiseman, Monrovia, Indiana (due ore e 25 minuti, quasi un corto rispetto alle dismisure cui ci ha abituato il maestro del docu americano) l’edizione 2018 di Filmmaker, uno dei festival di quella costellazione milanese chiamata Milano Film Network. E di tutti, il più attento al cinema di margine e di frontiera, con la sua vocazione a esplorare formati inediti, altri sguardi e visioni. Con l’intento sotterraneo di destabilizzare felicemente lo spettatore, di destrutturarne certezze e abitudini pigre e aprirlo alla scoperta. Un festival con dentro un gusto speciale per il cinema del reale, le sue ibridazioni, i métissage arditi – e magari discutibili ma fa niente – con il fictionale (una delle traiettorie su cu si sta indirizzando oggi il cinema più consapevole).
Guest star Luca Guadagnino, assiduo di Filmmaker da molto tempo: a lui si dà carta bianca per una personale selezione di film. Ecco tre Rossellini del sodalizio con Ingrid Bergman (Viaggio in Italia, Europa 51, La paura) e, scelta spiazzante e non attesa, tre film di Peter Del Monte, autore-outsider che ha percorso a latere il nostro cinema anni Settanta-Ottanta-Novanta mettendo a punto un corpus di opere assai personali, sempre contrassegnate da uno sguardo attento e partecipe. Guadagnino ha optato per tre titoli suoi che sono anche racconti di formazione, e racconti di una sessualità aurorale, Piso Pisello, Piccoli fuochi, Compagna di viaggio. Un programma che conferma pienamente la propensione del regista palermitano per il differente e il non ovvio (come non ovvio è passare, da autore, dal viscontiano Io sono l’amore al remake di Suspiria).
Tra le varie sezioni non si può che prendere come punto di avvio il Concorso internazionale, 9 docufilm tra cui Premières Solitudes, ritorno a Filmmaker di Claire Simon, nome totemico del cinema del reale europeo, che stavolta va nelle periferie parigine così spesso in cronaca (nerissima) per farsele raccontare da un gruppo di adolescenti. Ed è cosa bella e assai milanese De Sancto Ambrosio: dal campanile della basilica più antica in città, Sant’Ambrogio, Antonio Di Biase ha filmato la vita intorno, i passaggi casuali come le persistenze. Almeno altri due docu in Concorso vanno segnalati, il già famoso e indispensabile Waldheims Walzer, film austriaco su uno dei politici nazionali più celebri – presidente del paese, segretario generale dell’Onu – e sul suo passato dalle molte ombre, nazi-ombre. E il magnifico Fausto della canadese Andrea Bussmann già visto e premiato a Locarno, viaggio ai confini dell’onirico e del mitico nel quale il cinema antropologico si dissolve e si trasmuta alchemicamente. Girato sulla costa messicana di Oaxaca.
Ma Filmmaker è anche un territorio offerto all’esplorazione dello spettatore curioso e insaziabile, un invito a perdersi nei propri cunicoli e labirinti, nelle proprie sezioni, centrali o laterali che siano. In Prospettive giovani autori italiani anche qui sospesi tra registrazione del reale e suo oltrepassamento, e io tra le molte proposte sceglierei Efeso di Alberto Baroni (eremiti e eremitaggi, autoreclusioni, fughe dal mondo per esserci meglio dentro) e Baikonour, Terra di Andrea Sorini. Il quale riprende e racconta la base spaziale storica dell’Urss, ora in Kazakistan, una teca di macchinerie e ricordi e ruggini e fumi dell’età stellare sovietica. Gagarin, la cagnetta Laika, Valentina Tereshkova e tutti i miti cosmocomunisti (da vedere magari pensando a First Man di Chazelle). In Fuori Formato un omaggio a un genio diverso e ribelle del cinema austriaco del secondo Novecento, Kurt Kren, legato a ogni possibile avanguardismo del tempo, con lo screening di Sorry. It had to be done! E, nella stessa sezione, impossibile perdersi il film di un altro austriaco, Johann Lurf, sui cieli stellati nel cinema. Idea magnifica. Andare poi alla scoperta del Fuori concorso e di Filmmaker Moderns (io dico: Portrait of Jason di Shirley Clarke, nome grandissimo del cinema indie Usa anni Settanta, autrice di una libertà stupefacente). Attenzione, evento: Zumza! è la performance che incrocia immagini proiettate in più formati e psichedelie musicali. Risultato della collaborazione di due gruppi milanesi di esplorazione culturale, sarà all’Oberdan, una delle due sale del festival (l’altra è l’Arcobaleno). In chiusura, il 24, Chaco di Daniele Incalcaterra, nuovo lavoro sudamericano di un esempare filmmaker indipendente che è presenza costante al festival da anni. E stavolta anche nella giuria che sceglierà tra i titoli del concorso il vincitore. Tutto il resto è sul sito.