Il regno d’inverno (Winter Sleep) di Nuri Bilge Ceylan. Palma d’oro al Festival di Cannes 2014. Rai 5, ore 215, martedì 23 aprile 2019.
Il regno d’inverno (Winter Sleep), un film di Nuri Bilge Ceylan. Con Haluk Bilginer, Melisa Sözen, Demet Akbağ, Ayberk Pekcan.
Il maggiore regista turco spiazza tutti con un meraviglioso film di 3 ore e venti dove, al posto delle sue solite sequenze contemplative e mute, si parla molto, moltissimo. Cinema di conversazione, e anche di confronto-scontro di caratteri, tra Cechov e Strindberg. Con un ex attore che si è ritirato nei suoi possedimenti in Cappadocia, la giovane moglie insoddisfatta, la sorella reduce da un divorzio. Un interno-inferno di famiglia, mentre là fuori domina la natura. Voto 9
Recensione scritta dopo la proiezione del film a Cannes 2014.
Nuri Bilge Ceylan deve essersi stancato di sentirsi dire dai suoi (molti) detrattori che il suo cinema è troppo pieno di silenzi, di sequenze contemplative dove ‘non succede mai niente e non si capisce niente, eccheppalle’. Bene, stavolta il gran turco di C’era una volta in Anatolia spiazza tutti, i detrattori ma anche gli estimatori (tra i quali mi colloco dai tempi di Uzak). Realizzando un film parlato, parlatissimo, dove le sue famose interminabili carrellate su paesaggi preferibilmente brulli e flagellati da tutte le intemperie ci sono sì, ma assai ridotte rispetto al solito, un film che è volutamente e smaccatamente teatrale, con dialoghi complessi e mirabilmente cesellati anche se di immediata presa e fruizione. Si tratta in fondo, e nonostante le molte escursioni all’esterno – siamo nel meraviglioso e lunare paesaggio di quella Cappadocia di abitazioni rupestri già usata da Pasolini come Colchide in Medea – , un kammerspiel, una commedia, un dramedy a porte semichiuse all’inizio abbastanza cecoviano e poi sempre più cattivo e crudele, sempre più dramma ibseniano-strindberghiano, con un confronto serrato e senza esclusione di colpi tra il protagonista Aydin e le due donne che gli stan vicino, e intorno un nugolo di personaggi non così minori, non così collaterali, anzi. Con trame e sottotrame e traiettorie che si intrecciano, denunciando una cura minuziosa in sede di sceneggiatura. Aydin è un signore maturo di molti beni laggiù in Cappadocia, di una famiglia di possidenti da generazioni, per 25 anni ha fatto l’attore teatrale, poi si è ritirato lì, in quella terra lunare, a gestire un piccolo hotel con stanze scavate nella roccia chiamato Hotel Othello e meravigliosamente shabby chic da andarci subito. Produce articoli per un giornale locale, ma l’ambizione è quella di scrivere una storia definitiva del teatro turco. Con lui abita la sorella, reduce infelice da un divorzio, e la giovane e bellissima moglie, in preda a continue crisi bovaristiche e organizzatrice di cose charity per sentirsi utili e non solo appendice di quell’intelligente, ma ingombrante marito. Tre anime insoddisfatte, che da quelle parti si sentono in esilio e che, come le sorelle cechoviane, non fan che sospirare, pur se per diversi motivi, ‘A Mosca, a Mosca!’, con la differenza che la loro Mosca è l’adorata, sempre sognata Istanbul. All’inizio tra Aydin e le due donne son bonarie schermaglie, poi le cose precipitano, si incattiviscono, tra rinfacci e scoperchiamenti di insoddisfazioni e colpe vere o presunte. Winter Sleep parte magnificamente, con quella scena della sassata al furgone di Aydin e del suo tuttofare-bracciodestro lanciato da torvo ragazzino di una famiglia poverissima, con padre alcolista appena uscito di galera e uno zio imam, l’unico a portare a casa qualche soldo. Adottando un cinema della minaccia e dell’allusione alla Haneke, Nuri Bilge Ceylan ci fa subito capire che in quel paradiso adorato dai turisti più raffinati il disordine è in agguato, violenza e caos son pronti a riprendersi il mondo e le esistenze. Winter Sleep dura 3 ore e venti, ma vi assicuro che non ci si annoia. Naturalmente non mancano le scene che portano impresso il suo marchio. La magnificenza di paesaggi che tutto ingoiano e sovrastano. Gli altipiani anatolici d’inverno sotto la neve. Ma stavolta il sommo regista non si adagia nei suoi manierismi e scommette forte e coraggiosamente su un cinema-drammaturgia, vincendo la sfida. Realizzando un film che è profondamente turco e insieme connesso alla cultura occidentale (quel dialogo sull’opportunità o meno di perdonare il male è puro Bergman). Aydin è l’intellettuale turco con uso e conoscenza di mondo, ma che ha le radici lì, nell’Anatolia più profonda e non se ne stacca.
UPDATING all’uscita del film nei cinema italiani: Giustissimamente premiato a Cannes con Palma d’oro, anche se la stampa francese più chic e più cinemaniacale ha arricciato il naso, subito seguita e imitata da certi nostri critichini sempre proni e pronti ad adeguarsi al suo giudizio. Tant’è che sui social già è cominciato il cecchinaggio di Il regno d’inverno. Non ascoltateli, e correte a vederlo.
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