Lei (Her) di Spike Jonze, Rai 4, ore 0,46. Domenica 28 aprile 2019.
Ripubblico la recensione scritta al Festival di Roma nel novembre 2o13.Lei (Her), regia e sceneggiatura di Spike Jonze. Con Joaquin Phoenix, Rooney Mara, Olivia Wilde. Vincitore di un Oscar per la migliore sceneggiatura.
Storia di innamoramento e amore tra un uomo qualunque di nome Theodore e un sistema operativo di nome Samantha. Che parla, pensa, ha fremiti e languori come un essere umano, anche se è solo una voce in un device. Spike Jonze riesce a evitare ogni stupido sociologismo, ogni discussione scema su amore virtuale e materiale, sul futuro prossimo venturo ecc. ecc. consegnandoci, semplicemente, un bellissimo film su quella follia che ci ostiniamo a chiamare amore. Grande Joaquin Phoenix. Nella versione originale voce di Scarlett Johansson, di Micaela Ramazzotti in quella italiana. Voto 8+
È arrivato stamattina in Sala Sinopoli il film più atteso di questo RFF, e non ha per niente deluso, anzi si è quasi all’entusiasmo qui all’Auditorium tra i giornalisti. Alla proiezione stampa applausi tanti e convinti, e applausone quando sullo schermo è comparso il nome di Joaquin Phoenix, bravo come e anche più che in The Master, e in odore di un’altra Oscar-nomination dopo quella dell’anno scorso. La scheda di presentazione del film devo dire non lasciava ben sperare, e una certa tendenza all’arzigogolo e alla narrazione labirintica finora mostrata da Spike Jonze neppure. Un uomo – scrive la sinossi – si innamora di un sistema operativo/intelligenza artificiale di nome Samantha: ed ecco che subito uno pensa a quei filmacci già visti, con creature virtuali a tutto schermo di algida quanto perfetta e stupida bellezza. Film buoni tutt’al più a innescare poi il solito dibattito-fregnaccia sulla stampa in puro stile indignato-signora mia del genere: ma questa maledetta tecnologia dove mai ci porterà? la virtualità sta sostituendo l’umano?, e via blaterando e compiangendo e condannando. Invece, miracolo, Her scansa tutti i più pericolosi scogli narrativi e le ovvietà, trasformandosi in una gran storia d’amore con perfino qualche pensiero non banale su ciò che l’amore è o che ci pare che sia. Dialoghi magnifici, di una finezza da letteratura alta ma alta davvero, e squisitissime invenzioni verbali-lessicali in grado di trasfigurare anche quanto di più sdato. Pure quelle firmate Spike Jonze, e giù il cappello a uno che oltre che girare bene sa scrivere in una simile maniera. Siamo in un futuro prossimo, ma proprio molto prossimo, gli scenari non sono i soliti rendering digitalizzati di tanti pur pregevoli film di fantascienza, sono credibili, sono i nostri, sono ancora i nostri, e qui in particolare siamo in una Los Angeles assai riconoscibile e umana. Con vestiti maschili – ed è un’altra bella invenzione di Her – che una didascalia di moda definirebbe retrò-evergreen, o vintage, pantaloni larghi anni Quaranta, a vita alta, avvitati, di tessuti spessi, i più difficili da portare (è richiesta la pancia utrapiatta), ma molto donanti per chi poi a portarli ci riesce. No cravatte, e invece camicie leggere a collo aperto, e sopra giacche destrutturate. Un’eleganza alla Cary Grant, solo un po’ consunta, un po’ impolverata, quotidianizzata e deglamourizzata. Comunque massimamente chic (innescherà una moda?).Theodore fa un lavoro che solo in un film di vaga fantascienza umana come questo può essere possibile, scrive lettere su commissione, e le sue son lettere magnifiche. Sta per divorziare da Catherine (è Rooney Mara, la più naturalmente chic delle attrici in circolazione oggi), e non si capisce bene perché. Ha una cara amica dei tempi della scuola (Amy Adams, in una parte meno grintosa del solito), ha la passione dei videogiochi tridimensionali. Poi arriva lei, Samantha, un nuovo Os, sistema operativo di ultima generazione ch parla, pensa, prova sentimenti, accumula ed elabora esperienze come gli umani, meglio degli umani. Succede quel che deve succedere. Theodore si innamora di quella ragazza incorporea la cui voce esce da un device che ricorda i vecchi, eleganti taccuini tascabili, e vi garantisco che regista e attore son così bravi che tutto quanto vediamo sullo schermo ci sembra della massima naturalezza (e onore a Scarlett Johansson, che dà la sua voce e non si mostra mai: scelta coraggiosa, la sua, che si affianca a quella del bellissimo, misterioso Under the Skin di Jonathan Glazer visto a Venezia). Il miracolo di Her è questo, convincerci che l’amore virtuale non è altro che una nuova forma del vecchio amore, dell’amore di sempre. Una follia d’amore, certo. Del resto, come dice l’amica di Theodore, “l’amore è la sola follia socialmente consentita”. Questa storia tra l’estensore di lettere altrui e l’OS Samantha seguirà tutta la parabola di ogni innamoramento, dunque accecamento, passione, gelosie, e la temperie erotica, e orgasmi che saranno anche simulati (da lei), ma molto, molto reali e carnali per lui. Si arriva alla fine di questo notevolissimo film con la sensazione che qualcosa di nuovo sia successo nel cinema di fantascienza. Il robot umano Hal di Odissea nello spazio si è evoluto, ha fatto tutta la strada che doveva fare, adesso si chiama Samantha ed è, semplicemente, umano come noi. O siamo noi a essere diventati come lui.
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