Vittoria e Abdul di Stephen Frears, Canale 5, ore 21,16. Prima tv.
Inno al multiculturalismo e all’incontro di civiltà firmato Stephen Frears e presentato in prima mondiale, per fortuna fuori concorso, alla mostra di Veenzia 2017. Semplicemente terribile. Con una Judi Dench ancora una volta diretta da Frears (come in Philomena), ancora una volta intrappolata in un ruolo regale e stavolta è la regina Vittoria anziana e malata e circondata da cortigiani non così amabili e fidati. Succede – siamo nel 1887 – che dai remoti benché amatissimi possedimenti indiani, colonia-gioiello della corona, venga a lei inviato un giovanotto di religione musulmana di nome Abdul per portarle un dono (in realtà i giovanotti sono due, ma il compagno di Abdul viene spazzato via ben presto dagli eventi). Succede che dal vispo e astuto Abdul dalla pelle ambrata e dagli occhi di brace la sovrana rimanga molto, molto colpita. Fino a bloccarlo a Londra, trasformarlo nel suo favorito, ricoprirlo di attenzioni e donazioni dandogli una confortevole sistemazione, mentre naturalmente i cortigiani e l’erede al trono vedono malissimo la strana liaison. Vittoria nominerà Abdul suo maestro anzi Monshi, si farà insegnare da lui l’urdu, allestirà una stanza indianista. Storia vera verissima, come no, ma, temo, alquanto romanzata e edulcorata, ridotta da Stephen Frears a piatta celebrazione della felice coesistenza tra culture differenti. Eppure cosa si poteva cavare da una storia del genere: l’oscura fascinazione esercitata sull’Inghilterra dall’India in una sorta di rivincita dello sconfitto e del conquistato sul conquistatore, il potere del desiderio e dell’attrazione nella politica, lo sguardo orientalista in cui sono rimasti intrappolati a lungo, seppure in modo differente, l’Occidente come l’Oriente. Ma Vittoria e Abdul pialla via ogni occasione per indagare la complessità interculturale e riduce la sua trama a banale, predicatorio manifesto e la messinscena al solito tripudio di esotismo. Certo, Judi Dench è Judi Dench, mirabile soprattutto quando disegna i lati più bizzarri e laidi del suo personaggio, ma stavolta nemmeno lei basta.
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