Il film imperdibile stasera in tv: OMICIDIO AL CAIRO di Tarik Saleh (mercoledì 12 febbraio 2020)

Omicidio al Cairo (The Nile Hilton Incident), un film di Tarik Saleh, 2017. Rai 4, ore 21:15, mercoledì 12 febbraio 2020.
Gran successo iinternazionale, premi al Sundance 2017, buoni incassi anche al di fuori della Svezia, che di Omicio al Cairo è il paese di produzione nonché il paese del regista Tarik Saleh (please, astenersi dalla battuta salviniana “come fa a essere svedese con quel nome?”. Spiega a uso dei nostalgici di ogni immaginaria e mai esistita purezza etnica: Saleh è svedesissimo – come del resto l’adorato campione Zlatan Ibrahimovic -, nato dalle parti di Stoccolma da padre egiziano e madre svedese, cresciuto in Svezia, diventato street artist e poi filmmaker e poi autore acclamato in Svezia). Dicevo: buoni incassi dappertutto, recensioni positive, curiosità e interesse da parte del pubblico arthouse. Tranne che in Italia, of course, che raramente perde l’occasione di dimostrarsi non dico più retriva della media occidentale, ma certo più provinciale. Omicidio al Cairo: chi volete che accorra a un titolo così da noi, di questi tempi, con questi climi intossicati dalle peggio pulsioni identitarie (il film è uscito un paio di anni fa distribuiti da Movies Inspired)? Anche le sciure che pure sono lo zoccolo duro del pubblico del ‘cinema di qualità’ (una qualità che va certificata da quei due-tre critici istituzionali e non deve esondare da certi canoni, se no la sciura diserta) si son ritratte di fronte a questo oggetto filmico parecchio fuori dall’ordinarietà. Non però dal genere di riferimento. The Nile Hilton Incident – tale il titolo originale – è un purissimo classico noir di investigazione, un polar per dirla franciosamente, con tanto di poliziotto duro di cuore, cinico e qui anche corrotto che si redime sulla strada della verità e della sua tormentosa ricerca. Tarik Saleh, trent’anni e qualcosa, ha visto molto di quel cinema e molto deve averlo amato, se riesce a riprodurne così fedelmente (e amorevolmente) i codici, i linguaggi, le convenzioni. E però il suo non è un omaggio passivo e di maniera, per come innaffia il genere di umori e linfe a afrori nuovi e per come lo delocalizza in una cornice del tutto inusuale, in un altrove rispetto ai modelli hard-boiled o francesi-melvilliani. Che è Il Cairo del 2011 (il film è invece del 2017), mentre già la primavera di piazza Tahrir si annuncia e la rabbia verso il regime di Mubarak e la sua corruzione monta e tracima. Finirà come sappiamo, finirà malissimo. Ma qui lo svedese Saleh, in omaggio all’appartenenza egiziana paterna che è anche sua, non può che stare dalla parte del ‘popolo’ e dei ragazzi che protestano, che si oppongono alla polizia e ne vengono brutalmente repressi. Se questo è il frame in cui si agitano le storie e i personaggi, la trama è esemplarissimo cinema di denuncia delle turitudini, ipocrisie e tracotanze del potere in forma di giallo. Ispirata peraltro al caso vero verissimo di una famosa cantante pop libanese trovata ammazzata dodici anni fa in un hotel di Dubai. Qui una signorina dello spettacolo cairota dalle molte frequentazioni, anche illustri, viene uccisa da mano misteriosa im un hotel a molte stelle con vista Nilo. Incaricato dell’inchiesta è l’ufficiale di polizia Noredine Mostafa, scorza e faccia e modi maneschi da vero duro, uno che non si è mai opposto, anzi si è adeguato presto alla corruzione dilagante e al malcostume delle mazzette imposte e incassate dalle forze dell’ordine. Ma indagando, scoperchiando gli intrighi e le collusioni delle altissime sfere del regime che quel delitto nasconde, ritrova la propria dignità perduta e la forza di mettersi contro il sistema in nome, ebbene sì, della verità. Oltre che per proteggere la testimone che ha visto l’assassino – una donna delle pulizie di miserrima famiglia sudanese immigrata, senza diritti e costretta a una condizione di quasi schiavismo – cui i villain danno ovviamente la caccia. Il film è notevole non tanto per il groviglio e l’imbroglio che via via dipana, ma anche, soprattutto, per il quadro cupo che ci consegna di un paese strozzato dagli abusi e da una corruzione ommipervasiva. Ambienti polverosi e lerci, una burocrazia feroce e inetta, slums in cui sono buttati come immondizia gli ultimissimi, gli immigrati e profugli dall’Africa infelix.
Il film è stato ovviamente proibito in Egitto. Una proiezione clandestina organizzata da un gruppo di studenti e cinefili a Heliopolis, la città-satellite del Cairo dove abita buon parte dell’élite del paese, è stata subito interrotta dalle forze dell’ordine. Impossibile per Tarik Saleh girare in Egitto: secondo Imdb gran parte delle riprese sono avvenute a Casablanca, Marocco, del Cairo immagino siano però gli esterni, le sequenze urbane con i grattacieli arroganti e volgari, il traffico infernale, il Nilo a fare da sfondo, imperturbabile nella sua storia infinita. Eccellente protagonista Fares Fares, divo del cinema e della tv svedesi di origine libanese (ogni tanto rispunta in ruoli ‘etnici’, ma non solo, in qualche superproduzione hollywoodiana: Zero Dark Thirty; Rogue One: A Star Wars Story).

Questa voce è stata pubblicata in cinema, Container, film, film in tv e contrassegnata con , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.