Departures di Yojiro Takita, Tv 2000, ore 21:14. Venerdì 17 aprile 2020.
Vincitore a sorpresa nel 2009 dell’Oscar come migliore film straniero. Davvero non se l’aspettava nessuno, sicché quando arrivò nei cinema italiani si andò a vederlo con curiosità e non senza scetticismo, sospettando che l’Academy – come spesso le capita con i film non americani – avesse preso un abbaglio. Invece no. Departures (di Yōjirō Takita) è un bel film, anche se non quel capolavoro che i suoi estimatori duri e puri son convinti che sia. Film che tratta la morte senza rimuoverla, anzi guardandola in faccia e mostrandocela, e lo fa con nonchalance ed estrema grazia, e già questo basterebbe a renderlo importante. Il violoncellista Daigo perde il posto, la sua orchestra chiude per mancanza di fondi (sono i tempi, signora mia, anche in Giappone la cultura è in rosso) e lui è costretto a reinventarsi una vita. Torna insieme alla giovane moglie al paesello natio, ed è lì che, rispondendo a un annuncio, entra in contatto con il mondo nella tanatoestetica e viene assunto da un’agenzia specializzata. Tanatoestetica: imbellettamento delle salme. Quello che il vecchio film anni Sessanta di Tony Richardson Il caro estinto sbeffeggiava, qui diventa uno squisito rito assai giapponese (ah, l’impero dei segni, come diceva Roland Barthes). Sotto le sapienti mani del capo-maestro di Daigo, i morti vengono lavati, purificati, profumati, avvolti in vesti di massima elegenza, soprattutto acquistano attraverso un maquillage che assomiglia molto da vicino a un processo sublimatorio il volto dell’armonia e della serenità. I parenti chiamano l’agenzia, anche in casi di morte violenta, perché i loro cari in quell’estremo saluto al mondo possano presentarsi nel migliore di modi. Daigo dovrà passare attraverso vicissitudini varie, compreso l’abbandono da parte della moglie che non accetta quel suo lavoro, prima di conciliarsi con sè, con la sua nuova attività, forse con la vita e con la stessa morte. Nonostante il tema altissimo e periglioso, il film si tiene lontano dall’andamento lento e ieratico del capolavoro annunciato, sceglie la strada di un realismo abbstanza quotidiano, se tende al sublime non lo dà troppo a vedere, e non eccede in estetizzazione. Non mancano lampi di ironia e perfino divertimento.
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