- Solo Dio perdona di Nicolas Winding Refn: su Rai 4 sabato 9 maggio 2020 ore 22:52 e domenica 10 maggio 2020, ore 0:47.
Recensione che rielabora quella scritta dopo la proiezione al Festival di Cannes 2013.
Solo Dio perdona (Only God Forgives), regia di Nicolas Winding Refn, Con Ryan Gosling, Kristin Scott-Thomas, Vithaya Pansringarm, Thata Phongam, Gordon Brown, Tom Burke.
Accolto malissimo a Cannes da chi, probabilmente, si aspettava dalla coppia Gosling-Refn un nuovo Drive. Invece Solo Dio perdona è una via crucis, un viaggio all’inferno, una danse macabre di sangue, sesso, vendetta, violenza. Film lentissimo, austero che concede poco allo spettatore. I dialoghi sono qua e là imbarazzanti, spesso Only God Forgives cade in una sorta di inerzia, di catatonia espressiva. Un film fallato dentro. Eppure è impossibile non amarlo.
Fischiatissimo qui a Cannes, anche con un certo sadismo. L’amore ferito e deluso, si sa, provoca le peggiori reazioni e intolleranze. Capita di odiare smodatamente chi hai molto amato se non si dimostra più all’altezza della passione tua. Così in Salle Lumière i fischi penso siano venuti soprattutto da coloro che, senza conoscere troppo la filmografia del gran danese Refn, aveva perso la testa per il suo Drive e dunque si aspettava da Solo Dio perdona una replica del format: sangue e adrenalina. Invece, nonostante torni anche stavolta Ryan Gosling, siamo altrove. Siamo nel Nicolas Winding Refn più aspro e dark, meno piacione, meno mainstream, quello dei viaggi nelle tenebre di film come Pusher, Bronson, soprattutto Valhalla Rising, il suo capolavoro. Con un plot che richiama spudoratamente la tragedia classica e insieme l’action asiatico tutto (hongkonghese, giapponese, coreano) e i Van Damme movies. Siamo a Bangkok, dove l’expat Julian gestisce una sala da combattimemento di thai-box e altre rudi arti marziali, in realtà copertura di un traffico di droghe dure. Il fratello Billy si inguaia e mette nei guai tutto il suo clan stuprando e uccidendo una giovane prostituta. Ci sarà la vendetta del padre della vittima. Ma a scendere in campo sarà anche un poliziotto tosto e spietato, che usa metodi oltre ogni possibile legge. A questo punto sbarca a Bangkok la madre-matriarca, madre castrante e mortifera come in certi miti e in certa letteratura psicanalitica, che costringe Julian a vendicare lei, il fratello morto, il loro onore. Disprezza il riluttante Julian, lo insulta, lo umilia, “tuo fratello sì che aveva le palle”, anzi, gli sbatte in faccia che il defunto Billy aveva un uccello enorme, “sì, enorme”. Il torbido abitava in quella casa. Come mai mammina era tanto legata a Billy? Come mai disprezza Julian (Ryan Gosling)? Come mai quell’accenno non troppo materno alle misure? Qui c’è di mezzo Edipo, forse con tanto di incesto consumato. Assistiamo intanto alle imprese del poliziotto, capace di torture di crudeltà e raffinatezza che un tempo si dicevano asiatiche, et pour cause (e come adesso non si può più dire per via del politicamente-etnicamente corretto imperante). Chi si aspettava un Ryan Gosling eroe e combattente, pronto a mostrare muscoli e tatuaggi come in Drive e Come un tuono, resterà annichilito, più che deluso. Refn, che lo ha plasmato in Drive quale sex symbol maschile, in Only God Forgives ne destruttura l’immagine, anzi la distrugge proprio, e ci vorrebbe uno strizzacervelli a spiegarci il perché. Fatto sta che Gosling appare poco, pronuncia sì e no venti battute, si aggira smarrito e mesto nella cupa notte di Bangkok illuminata solo dai neon dei bordelli e delle peggiori taverne in città. Finché gli gonfiano a pugni la faccia, e il bel Ryan si riduce a un mascherone sanguinolento e tumefatto. Refn non solo massacra, in ogni senso, la sua star protagonista, ma distrugge anche il se stesso di Drive per chissà quali oscure pulsioni. Solo Dio perdona è una via crucis, un viaggio al termine di ogni giorno e di ogni notte, una discesa lenta, lentissima, ipnotica negli abissi del peggio dell’umano: il sesso sfrenato e cattivo, il piacere della violenza agita e anche subita, il giocare con il molto di bestiale che c’è in ogni uomo, in ogni donna. Su tutto e tutti incombe il fato, tutto è destinato a finire, esplodere, autodistruggersi nel fango e nel sangue. Refn, come già in Valhalla Rising, applica alla più brutale delle materie narrative un andamento lento e austero da cinema autoriale scandinavo anni ’50 e ’60 e precedenti (soprattutto Dreyer, più che Bergman), attua un processo di astrazione e stilizzazione della violenza che ricorda l’unico e meraviglioso film da regista di Yukio Mishima Patriottismo, e fissa in tableaux vivants illuminati da torbide luci da inferno pop i suoi personaggi e le loro azioni. Film visivamente magnifico, con una messinscena ieratica, rituale che oggi pochi saprebbero realizzare. Eppure c’è qualcosa, anzi molto, che non funziona. Il film non si accende mai, resta come catafratto, nascosto in se stesso, come nato marcio dentro. Ryan Gosling annaspa, si muove da alieno, non è in grado, come lo era invece il meraviglioso Mads Mikkelsen di Valhalla Rising, di imprimere pathos al film, il senso dell’umanità vulnerata e sconfitta. Kristin Scott-Thomas è la genitrice-arpia, spaventosa al punto giusto (appartengono a lei i momenti migliori). Only God Forgives comunica un senso di inerzia, di stanchezza: un film ansimante. Anche i dialoghi sono spesso inudibili (“Mamma, Billy ha stuprato e ucciso una ragazzina!” e lei: “Avrà avuto le sue ragioni!”). Only God Forgives è sbagliato, fallato, incrinato, ferito dentro, ma va assolutamente rivisto, e please, non buttiamolo nella pattumiera. (Updating: difatti da allora è diventato un culto.)
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