Film stasera in tv: LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT di Gabriele Mainetti (mart. 12 maggio 2020)

Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, Rai 4, ore 21:20. Anche su RaiPlay.
Ripubblico la recensione scritta all’uscita del film.
jr_10_20160209_1694686069jr_1_20160209_1393450563Lo chiamavano Jeeg Robot, un film di Gabriele Mainetti. Con Claudio Santamaria, Luca Marinelli, Ilenia Pastorelli, Antonia Truppo.
jr_35_20160209_2031088041jr_5_20160209_2022295341La pazza idea di mescolare gli anime, i supereroistici alla Marvel con le peggio suburre e gomorre dei nostri romanzi criminali (e con le cronache di Mafia capitale). Eppure Lo chiamavano Jeeg Robot riesce nell’impossibile impresa. Uno dei migliori film italiani degli ultimi anni, anomalo, inventivo, coraggioso. Ottimi Claudio Santamaria e Ilenia Pastorelli, ma a rubarsi il film è Luca Marinelli quale villain. Marinelli Joker subito!
jr_4_20160209_1913364715Cosa mai si potrà aggiungere al tanto che s’è già scritto di questo film deflagrato come un caso, e nessuno se l’aspettava, all’ultima festa del cinema di Roma? Ecco, dico subito che si merita tutto il buono che ne ha scritto la stampa e il successo che sta avendo al cinema (nel suo primo weekend di programmazione ha realizzato 800mila dignitosissimi euro con un’ottima media per sala di 3.000). Pieno di idee, un film inventivo, esplorativo, coraggioso e anomalo nel panorama del nostro cinema, con la sua pazza idea, eppure riuscita, di coniugare il genere pulp-neoborgataro Roma criminale e romanzo criminale con le varie sue suburre e gomorre a quello supereroistico assai americano. C’è dentro un insolito amore, almeno per le nostre cineproduzioni, per culture e subculture pop, per il manga, l’anime, il Marvel-movie,  gli Z-movies, il tutto frullato con il pum-pum e il bang-bang e lo sbrang-sbrang dei peggio giochi da playstation. Con dentro pure infiltrazioni e robustissime dosi di canzonettismo sanremese, di quello consumato da bambini davanti alla tv tra una spaghettata e l’altra di mamma. Insomma, una extravaganza che mai avremmo pensato di vedere sui nostri schermi solitamente divisi tra il cinema pretenzioso e soidisant antropologicamente superiore e quello becero post-cinepanettonesco. Davvero Lo chiamavano Jeeg Robot sembra venire dall’ultraspazio, un oggetto cinematografico alieno e non identificato, e però perfettamente funzionante e godibile, ottimo per farci fare al cinema un viaggio-sorpresa, inaspettato come quelli vinti a una lotteria di supermercato o tv locale. Gabriele Mainetti, che non viene proprio dal niente avendo alle spalle teorie e partiche cinematografiche e teatrali di lunghi anni, non sbaglia quasi niente. Mettendo insieme una storia sulla carta inverosimile e che invece nel suo farsi marcia benissimo dalla prima all’ultima scena. Protagonista è Enzo, piccolo criminale di borgata sfigato, con impresse tutte le stimmate del perdente, un uomo solo alla deriva, con l’aria stolida e la mente annebbiata non si sa se da troppe sostanze alteranti o dallo squallore in cui è immerso, o dal mix micidiale di tutte quelle cose. Alla mercé di chi lo ingaggia per qualche sporco lavoro cui lui non può che sottomettersi passivamente, ed eseguire. Durante una delle sue male imprese ai danni di due povericristi immigrati imbottiti di ovuli di cocaina si rende conto di non essere più lui, di aver acquisito dei superpoteri dopo essere caduto qualche giorno prima nel Tevere ed essersi esposto alle radiazioni di misteriosi bidoni buttati là dentro da chissà chi. Comincia la sua nuova super-vita. Un video che lo riprende mentre scassa e si porta via come niente un bancomat diventa virale e lo trasforma in un eroe del lumpenproletariat romano (ma quella landa urbana e periferica è una Roma astratta e trasfigurata in non-luogo della mente e del fantastico). Dovrà però scontrarsi con lo Zingaro, uno psicopatico a capo di una feroce banda che vuole espandere il proprio territorio. Non dico di più. Un’avventura di voluta, straziante sgangherataggine benissimo scritta e assai ben girata dove si mescolano infinite suggestioni. Il truce ormai codificato da romanzo criminale-suburra, con quelle borgate terre di nessuno e terre di mezzo dimenticate da Dio e invase da una sottoumanità ai limiti del bestiale, e di animale ferocia. Con personaggi maggiori e minori molto ben messi a punto. Come la disgraziata ragazza di cui Enzo si innamora, e che si innamora di lui, una che in seguito a shock è rimasta come intrappolata nel suo mondo fantastico, ed è lei a essere pazza della serie tv anni Ottanta Jeeg Robot citata e stracitata dal film, è lei che ha rimodellato la propria realtà sulla irrealtà di quel cartone giapponese senza più distinguere l’una dall’altra, e la sua povera, commovente infatuazione per Jeeg Robot ricorda quella dei personaggi di Straziami, ma di baci saziami di Dino Risi persi per i fotoromanzi e la loro sottolingua. Con la differenza che là lo sguardo di Risi e dei suoi scemeggiatori era di malcelato disprezzo, qui quello di Mainetti è pieno di comprensione e compassione (no, per carità, non diciamo empatia). La sfigata Alessia di Ilenia Pastorelli, bravissima, è uno dei migliori personaggi femminili che il cinema italiano ci abbia dato di recente, e si ricollega a una tradizione di figure femminili umiliate, calpestate, derise, inermi, sconfitte, fatte a pezzi dalla vita. La Cabiria di Fellini, l’Adriana di Io la conoscevo bene di Pietrangeli. Ma il meglio del film è nel personaggio del villain, lo Zingaro, che sta a Lo chiamavano Jeeg Robot come il Joker ai vari Batman e Dark Knight (la trilogia nolaniana del Cavaliere oscuro è, mi pare, un riferimento chiave per Mainetti). Balordissimo, criminale sadico pronto a gettare in pasto ai cani anche il suo migliore amico colpevole di non seguirlo più nelle sue follie, lo Zingaro non è però la solita figura piatta. È un cattivo scolpito e sbalzato, complesso, contraddittorio, pieno di ombre e penombre, un grandioso eroe negativo o controeroe reso da Luca Marinelli in modo semplicemente sensazionale (con queata interpretazione e quella di Non essere cattivo Marinelli si issa al vertice tra i nostri attori di oggi). Spietato e ambiguo, anche sessualmente, attratto com’è omoeroeticamente dal suo migliore amico-schiavo, che quando se vo’ divertì si inguaina in leggings, si mette in tacchi a spillo e, sberluccicante di un look glam-punk de noantri, si esibisce in loschi club da paura a rifare le più estreme e camp icone italiche del pop tra anni Settanta e Ottanta, Anna Oxa e Loredana Berté. E quando canta, l’orrido, Un’emozione da poco e Non sono una signora siamo tutti, malgrado tutto, dalla sua parte. Luca Marinelli Joker subito! A funzionare meno in Lo chiamavano Jeeg Robot è l’adeguamento eccessivo ai manierismi e ai cliché solidificatisi negli anni di Romanzo criminale film e serie, Gomorra film e serie e Suburra. E il limitato budget si vede, come no. Perché gli attentati con cui il misterioso blocco criminale sta terrorizzando e ricattando la città (e non si può non pensare a Il ritorno del cavaliere oscuro) son per mancanza di mezzi adeguati ridotti a un po’ di fumo che sale da qualche edificio in lontananza, e stop. Ma sono limiti che non vanno a intaccare il molto di buono che c’è dentro a Lo chiamavano Jeeg Robot.

Questa voce è stata pubblicata in cinema, Container, film, film in tv e contrassegnata con , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.