I soliti sospetti di Bryan Singer, Paramount Network, ore 21:15. Lunedì 1 giugno 2020.
Visto e rivisto. Sempre formidabile. Sono dell’idea che I soliti sospetti sia lo psycho-thriller migliore degli ultimi decenni, e non sto esagerando. Nessuno più del Bryan Singer di questo film riesce a farti respirare la paura, a comunicarti la minaccia. Colto, europeizzante, denso di riferimenti, con molto del Roman Polanski anni Sessanta-Settanta e delle leggende del terrore del Centroeuropa. L’inafferrabile, inconoscibile, cangiante Keyser Söze è ormai un mito. Ricordo che Goffredo Fofi lo paragonò genialmente all’altrettanto sfuggente balcanico protagonista di La maschera di Dimitrios di Eric Ambler (capolavoro da recuperare, meglio se in edizione Adelphi). Quella nave che esplode all’inizio in un porto californiano e che innesca uno dei plot più labirintici della storia del cinema si fa, al di là delle stesse intenzioni dei suoi autori (tra cui Christopher McQuarrie, Oscar meritato per la migliore sceneggiatura originale) metafora potentissima di ogni insidia che vada a turbare e distruggere l’Ordine Americano: terrorismo jihadista, pericolo rosso-comunista un tempo sovietico poi cinese, virus pandemici; ma viene in mente anche il Sigmund Freud che mentre sbarca su suolo newyorkese da un transatlatico profetizza, parlando della sua psicanalisi destinata a portare a galla i demoni dell’inconscio di una nazione e a segnarne la fine dell’innocenza: “portiamo la peste, e loro non lo sanno ancora”.
Purtroppo Bryan Singer non si sarebbe mai più ripetuto ai livelli di questo folgorante esordio, finendo con l’incappare pure in uno dei tanti scandali sessuali della Hollywood degli anni Dieci. Che cast: Gabriel Byrne, Benicio Del Toro, Chazz Palminteri e un Kevin Spacey – anche lui poi travolto da scandalo sessuale – all’apice del suo vischioso virtuosismo interpretativo.
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