Venezia Festival 2020. Leone d’oro (scontato e non così meritato) a Nomadland: tutti i premiati

Davide Romani di Disney Italia ritira il Leone d’oro per Nomadland. Foto Biennale di Venezia/ASAC/Andrea Avezzzù

Nomadland

Il palmarès della Mostra del cinema 2020 (dal sito ufficiale di Biennale Cinema). Ma prima un comento.

Vince Nomadland, approdato al concorso da superfavorito e difatti eccolo vincitore. Ma il film, pur buono, girato con delicatezza e la giusta misura e tocco partecipe ma non sentimentalista da Chloé Zhao, si è rivelato al di sotto delle attese. Attraverso la storia di una donna che, perso il marito e il lavoro, lascia la sua hometown di nome Empire per andarsene in giro da nomade con un van, scopriamo l’America in perenne movimento sulle sue case viaggianti. Non sempre per marginalità sociale, spesso per scelta o incapacità di accettare la vita stanziale e la routine, riattivando quella corsa verso la frontiera (e quel perdersi nella natura di Thoreau) così radicata nella sensibilità del paese. Un perfetto vehicle per Frances McDormand, un film che, come ampiamente previsto, volerà agli Oscar e ne porterà a casa un bel po’, non McDormand però che ne ha già vinti due e difficilmente ne incamererà un terzo.
Chloé Zhao dopo l’ottima prova del precedente The Rider si mette al servizio di un progetto mi sembra non suo, un compito che le è stato commissionato e da lei svolto in modo impeccabile. Ma Nomadland, per quanto nobile, non è un film molto personale, non ha un’impronta forte autoriale come si vorrebbe da un vincitore di Venezia, è l’ennesimo buonissimo indie movie, di quelli che tanto piacciono all’Academy, ma abbastanza qualunque e fungibile con altri. Come, solo per stare agli anni ultimi, Green Book. La giuria in my opinion ha sbagliato, dopo anni di Leoni a film americani da proiettare verso gli Oscar (Joker, La forma dell’acqua, Roma: e non ditemi che è un film produttivamente messicano, please) era il momento di cambiare rotta e puntare su un titolo magari meno risolto, ma più arrischiato, meno omologato, più audace per forma e racconto.
Perché allora non premiare l’azero In Between Dying, il migliore del concorso, l’unica vera sorpresa, il più temerario benché non sempre all’altezza della sfida, purtroppo nemmeno entrato nel palmarès? Film non risolto, ma con addosso il segno e il sogno di un cinema altro, differente, futuro, ancora in grado di interrogarci/interrogarsi e riflettere su sé stesso.
Anche la Coppa Volpi per la migliore interpretazione a Pierfrancesco Favino poteva utilmente e saggiamente imboccare altre direzioni (nonostante che quest’anno le buone performance maschili siano state poche, a fronte invece di formidabili prove d’attrice). Il film, Padrenostro, è irrimediabilmente mediocre, Favino al di sotto del suo standard, anche per via di uno script debole che non gli fornisce solidi appigli. Il solito premio in quota Italia del palmarès veneziano (il mio amico Giangi mi ricorda sempre l’anno in cui al posto della Nicole Kidman di The Others vinse la Coppa Volpi Sandra Ceccarelli: lo schema si ripete).
I grandi esclusi dalla lista dei premiati: il bosniaco Quo Vadis, Aida? e The World to Come di Mona Fastvold, amatissimo soprattutto (ma non solo) dalle donne. Le esclusioni inspiegabili e le sviste delle giurie sono un classico dei festival di cinema, un inesorabile eterno ritorno, inutile indignarsi. I verdetti sono il frutto di alchimie geopolitiche e veti incrociati più che di scelte nette, prevalgono i titoli meno divisivi e sui quali è più facile concentrare i consensi, anzi i non-dissensi. Certo stupisce il niente premi al film di Mona Fastvold, unanimemente considerato tra le eccellenze del concorso.
Il resto del palmarès è ottimo, a dimostrazione che la giuria quando ha voluto e potuto si è orientata verso scelte non così ovvie (come invece il Leone).
Nuevo Orden di Michel Franco, Leone d’argento – Gran Premio della Giuria, è uno dei film che più ho amato del concorso, certo non granché amato dalla gran parte di pubblico e stampa. Sicché non pensavo sarebbe entrato in zona premi e invece eccogli assegnato il secondo posto nel ranking veneziano. Sperando diventi il lasciapassare per una gloriosa carriera nella award season 2020/21.
Leone d’argento per la migliore regia a Kiyoshi Kurosawa (omonimo, non parente) per Spy No Tsuma (Moglie di una spia), squisita, ambigua, torbida, fantasmatica spy story nel Giappone del 1940. Con dubbi e ombre del sospetto assai hitchcokiani. Un film che attraverso il genere giallo-mélo si configura come una dichiarazione d’amore mai gridata e sempre pudica al grande cinema. Naturalmente sottovalutatissimo, a parte un pugno di entusiasti cinefili. Felice sia entrato nel palmarès.
Premio speciale della giuria a Cari Compagni! del veterano (anche di Venezia) Andrei Konchalovsky. Pure stavolta niente da ridire. Film magnifico e ineludibile su una finora a noi sconosciuta rivolta operaia nell’Unione Sovietica del 1962, era krusheviana. Da Leone d’oro, se Konchalovsky non fosse incorso in una passo falso di sceneggiatura a pochi minuti dalla fine.
Sono tra i pochi cui sia piaciuto l’indiano The Disciple, lungo e articolato viaggio nella musica classica dell’Hindustan, il Raga. A Chaitanya Tamhane, anche regista del film, il premio per la migliore sceneggiatura. Una volta tanto i giurati hanno azzeccato la scelta (di solito ai festival è dato come risarcimento a chi avrebbe meritato premi più importanti ma non ce l’ha fatta): lo script, che connette infinite diramazioni e storie sul Raga in una sorta di mappa narrativa insieme complessa e trasparente, è davvero virtuosistico.
Altro bellissimo film del concorso l’iraniano Sole (Sun Children) del veterano di molti festival Maji Majidi. Il Mastroianni al suo interprete adolescente Rouhollah Zamani non segnerà forse la nascita di una star, ma è indirettamente un omaggio sacrosanto al film.
Coppa Volpi per la migliore interprete femminile a Vanessa Kirby per Pieces of a Woman, ma anche, benché non ufficialmente, per The World to Come. Habemus una nuova grande attrice che ha prevalso su rivali di altrettanta stratosferica bravura, come le protagoniste di Quo Vadis, Aida? e Cari compagni! E aggiungiamoci pure la Romola Garay di Miss Marx, il miglior film italiano tra i quattro del concorso, ignorato dalla giuria.

TUTTI I PREMI DI VENEZIA 77

La Giuria di VENEZIA 77, presieduta da Cate Blanchett e composta da Matt Dillon , Veronika Franz, Joanna Hogg, Nicola Lagioia, Christian Petzold e Ludivine Sagnier, dopo aver visionato i 18 film in competizione ha deciso di assegnare i seguenti premi:

 

LEONE D’ORO per il miglior film a:
NOMADLAND
di Chloé Zhao (USA)

 

LEONE D’ARGENTO – GRAN PREMIO DELLA GIURIA a:
NUEVO ORDEN
di Michel Franco (Messico, Francia)

 

LEONE D’ARGENTO – PREMIO PER LA MIGLIORE REGIA a:
Kiyoshi Kurosawa
per il film SPY NO TSUMA (MOGLIE DI UNA SPIA) (Giappone)

 

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA a:
DOROGIE TOVARISCHI! (CARI COMPAGNI!)
di Andrei Konchalovsky (Russia)

 

PREMIO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a:
Chaitanya Tamhane
per il film THE DISCIPLE (India)

 

COPPA VOLPI
per la migliore interpretazione femminile a:
Vanessa Kirby
nel film PIECES OF A WOMAN di Kornél Mundruczó (Canada, Ungheria)

 

COPPA VOLPI
per la migliore interpretazione maschile a:
Pierfrancesco Favino
nel film PADRENOSTRO di Claudio Noce (Italia)

 

PREMIO MARCELLO MASTROIANNI
a un giovane attore o attrice emergente
a:
Rouhollah Zamani
nel film KHORSHID (SUN CHILDREN) di Majid Majidi (Iran)

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