L’angelo del crimine di Luis Ortega (El Angel, Argentina 2018), Rai 4, ore 0:25. Ache su RaiPlay.
Visto a Cannes 2018 a Un Certain Regard (dove suscitò un tiepido interesse tra i critici presenti: troppo mainstream, sentenziò qualcuno) e allora da me non recensito per mancanza di tempo. Non recensito neanche quando meno di un anno fa è stato importato sui nostri schermi, dove ha soggiornato qualche giorno nell’indifferenza generale, anche del pubblico arthouse. Invece una visione questo El Angel se la merita eccome (quanto a me: cerco di rimediare con questa scheda tardiva). Dove si racconta e mette in scena la storia criminale che sconvolse l’Argentina nei primi anni Settanta, le scorribande e gli orrori – 12 omicidi, decine di rapine e furti – di un giovinetto dall’aria angelica e efebica di nome Carlos Robledo Puch. Boccoli d’oro, baby face da innocente che mai ha conosciuto gli abissi. E invece, uno dei delinquenti più efferati che gli schedari di polizia di quelle parti abbiano mai refertato. Prodotto dai fratelli Almodovar, Pedro e Agustin, El Angel ricostruisce le gesta del suo protagonista secondo i più consolidati e anche scontati feticismi camp, dunque lussureggianti colorismi pop, barocchismi e eccessi stilistici anni Settanta, e una selvaggeria di toni che vorrebbero restituire quei tempi e climi perduti di emersione di ogni inconscio e pulsione. Se lo sguardo del regista Luis Ortega non può dirsi complice, non è nemmeno così distaccato e distanziante rispetto al suo soggetto-oggetto, a quel demone dalla faccia pulita nato in una famiglia di un certo benessere della middle class argentina che nulla sembrava destinare alla depravazione. Carlos è, inspiegabilmente (per fortuna il film non imbocca facili scorciatoie psicologiche o sociologiche giustificazioniste), un piccolo ma spietatissimo signore del male, quasi natualmente portato a agire il peggio, a farsi strumento dell’abominio. A far precipitare quella vocazione al delitto latente in lui è l’amicizia-sodalizio con un compagno di classe di nome Ramon, rampollo di una famiglia delinquenziale da cui Carlos imparerà presto l’uso delle armi e le astuzie e destrezze dell’illegalità. Saranno rapine a due e poi sempre più giù, sarà il sangue. Carlos è, neanche troppo segretamente, attratto e innamorato di Ramon, che gioca con lui di ambioguità, seducendo ma sottraendosi (come se non avesse una storia omosessuale con un signore assai più maturo e benestante di lui). Film che non si pone questione di moralità, che del suo main character sottolinea anche la carica di (anti)eroe pop della nascente società dello spettacolo e dei media. Gran successo in Argentina. Due nomi eccellenti del cinema sud americano, Cecilia Roth (Tutto su mia madre) e Luis Gnecco (Neruda), sono i genitori di Carlos, Chino Darin (figlio di Ricardo) è Ramon., Lorenzo Ferro è l’assassino baby face. Il vero Carlos Robledo Puch, tuttora in galera, ha espresso tempo fa il desiderio che a ricostruire in cinema la sua parabola fosse Quentin Tarantino. Con Leonardo Di Caprio protagonista.
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