American Gigolò, la7, ore 23:45. Lunedì 10 maggio 2021.
Film leggendario del 1980, che issò di colpo un ancora giovane Richard Gere nella A-List hollywoodiana e consacrò Giorgio Armani come re planetario della moda (Gere indossa solo vestiti suoi, e la scena in cui abbina camicia-cravatta-vestito è ormai storia del cinema e del costume. Mentre gli outfit di Lauren Hutton sono di Laura Biagiotti).
Film che ha inciso nel sentire e nell’inconscio collettivo globale come pochi, me ne sono reso conto qualche Berlinale fa vedendo un film cinese della sezione Panorama, YE (La notte), in cui il protagonista rifà la mitologica scena della vestizione di Gere. Eppure American Gigolo (l’accento è stat aggiunto in Italia) è molto più di questo. Innanzitutto è, se non il più riuscito, il film di maggior successo di quel gran sceneggiatore e regista che è Paul Schrader, uno che volutamente si è sempe tenuto ai bordi del grosso giro preferendo una ricerca molto personale e assai poco piegata all’industria dell’entertainment. Studioso del cinema rarefattodi Ozu e Bresson, Schrader ha dichiarato di aver importato in questo film qualcosa dei suoi modelli registici. Anche se, del binomio bressoniano colpa-redenzione, American Gigolo percorre con maggior decisione i sentieri della colpa. Julian (Gere) è il più ricercato gigolo di Los Angeles, uno che ci sa fare come pochi. Ma qualcosa e qualcuno manda fuori giri la sua brillante routine: una sua cliente muore, e del delitto viene accusato ingiustamente lui. Intanto si innamora di un’altra cliente, infrangendo le regole ferree della professione. Pagherà caro. Senza forse rendersene pienamente conto, Paul Schrader impone attraverso il personaggio di Julian un nuovo paradigma della virilità (o della non virilità) postmoderna, anche della bellezza maschile, e sta in questo la sua epocalità. L’attuale narcisimo maschile di massa, con il suo culto ossessivo del corpo, viene (anche) da qui, da American Gigolo.
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