Amarcord di Federico Fellini, Cine34, ore 21:05. Venerdì 20 agosto 2021.
Ripropongo quanto ho scritto nell’agosto 2011 dopo la proiezione di Amarcord al Festival di Locarno in Piazza Grande. Alla serata era presente la Gradisca del film, Magali Noël.
Incomincia la proiezione. Pubblico inchiodato, grandissimi e sentiti applausi finali. Amarcord è cinema-cinema, cinema popolare, cinema che arriva dritto alla platea. Forse il film più diretto ed eloquente di Fellini, il suo più facile. Io però l’ho sempre detestato, e la visione di stasera non mi ha fatto cambiare idea, purtroppo. Film di momenti sublimi, impossibile negarlo (l’apparizione del Rex, lo zio matto che non vuole scendere dall’albero, soprattutto la parte sull’infatuazione fascista con quel mascherone grottesco di Mussolini), ma anche insopportabilmente piacione e paraculo, autoindulgente, fellinianamente narciso, ovvero narciso all’ennesima potenza, a una potenza tellurica e insostenibile. Rimini e il suo passato Fellini li aveva già raccontati molto meglio e più sobriamente in Otto e mezzo, di cui Amarcord è una versione semplificata e degradata, anche brutalizzata. Con la Saraghina che viene replicata stavolta più torvamente nella figura dell’erotomane Volpina, il sogno dell’harem di Mastroianni rimpiazzato qui dall’harem vero dell’emiro che sbarca al Grand Hotel, in un crescendo di autoplagi e autocitazioni. Via le disquisizioni e i pensieri alti di Otto e mezzo sull’arte, l’ispirazione, la figura dell’intellettuale, su Dio e la carne che magari appesantivano quel film ma gli conferivano anche nobiltà; qui in Amarcord resta soltanto la nostalgia canaglia, l’aneddotica facilona e soprattutto sesso, sesso e sesso. Amarcord è pieno di ossessioni grevi per i seni enomi e i culoni e quant’altro, ossessioni che esplodono ormai incontrollate e senza freni, evocate attraverso i sogni, i deliri e le voglie di un gruppo di ragazzetti allupati. E poi rutti e ogni possibile rumore corporale, in una volgarità che si vorrebbe alta e nobilitata dallo stile e che invece diventa senza volerlo il paradigma e il riferimento del cinema plebeo che di lì a poco esploderà. Amarcord fonda (lo ripeto: senza volerlo, in un classico caso di eterogenesi dei fini) e prefigura tutto il cinema bis scollacciato degli anni Settanta. La presenza nel film di Alvaro Vitali è profetica. La commediaccia erotica dei Pierini, delle insegnanti procaci e delle scolaresche infoiate viene da qui, da Amarcord, è figlia, per quanto illegittima, di Fellini, di questo Fellini.
CERCA UN FILM
ISCRIVITI AI POST VIA MAIL
-
-
ARTICOLI RECENTI
- Berlinale 2023. Recensione: LE GRAND CHARIOT di Philippe Garrel. Giusto il premio per la migliore regia
- Berlinale 2023: SUR l’ADAMANT di Nicolas Philibert. Recensione del flm vincitore
- Berlinale 2023, vincitori e vinti: l’Orso d’oro a Sur l’Adamant e gli altri premi
- Berlinale 2023. Recensione: ROTER HIMMEL (Cielo rosso) di Christian Petzold. Partita a quattro
- Berlinale 2023. I FAVORITI all’Orso d’oro (e al premio per la migliore interpretazione).
Iscriviti al blog tramite email