Venezia 2021. Recensione: PER GRAZIA RICEVUTA di e con Nino Manfredi (pre-apertura). Una meraviglia ritrovata

Per grazia ricevuta di Nino Manfredi. Con Nino Manfredi, Lionel Stander, Delia Boccardo, Paola Borboni, Mariangela Melato, Mario Scaccia, Tano Cimarosa. Film di pre-apertura della Mostra del cinema. Voto tra il 7 e l’8
La mostra la sera prima prevede da parecchi anni la proiezione della copia restaurata di un classico. Stavolta è toccato a Per grazia ricevuta, anno 1971, anche come celebrazione dei 100 anni di Nino Manfredi. Presenziava e introduceva il direttore artistico Alberto Barbera affiancato da Luca Manfredi, figlio di Nino. Confesso. non l’avevo mai visto, se non per qualche frammento in qualche passaggio televisivo. Un gran bel film. Che mostra tutti i suoi anni – oggi sarebbe impensabile un uso così basico, anche se per niente ingenuo e assai professionale della macchina da presa, e datata è la granitica centralità di personaggi e storia rispetto a grammatica e sintassi cinematografiche -, ma che nella sua inattualità è il reperto di un’Italia che è stata ma non è più, un continente scomparso e sommerso: l’Italia di quel 1971 in cui Per grazia ricevuta venne realizzato, l’Italia lazial-ciociara tra anni Trenta e Cinquanta in cui si colloca la vicenda. Solo nella primissima parte, il racconto dell’infanzia del protagonista, il film sembra adattarsi al canone della commedia allora trionfante nelle nostre sale (l’uso del vernacolo, il dramma e melodramma sempre filtrati dal registro comico), poi se ne stacca completamento per diventare qualcosa di indefinito. Un unicum sia nella carriera di Nino Manfredi che, se ricordo bene, ritenterà con la regia senza mai ripetere l’esito di questo suo eclatante esordio, sia nel panorama del cinema nazionale. Infanzia, giovinezza e vita adulta di un uomo che è stato consacrato a Sant’Eusebio, martirizzato tra le fiamme. Una vita che si situa all’interno di un universo definito e governato dalla fede, da un senso del sacro e dell’oltreumano diffuso e capillare. Per grazie ricevuta è tra i nostri pochissimi film in cui il religioso non è degradato a vile superstizione per farne carne da risata ma è descritto come ineludibile dato antropologico. C’è il senso del trascendente, c’è la fede e la speranza nel miracolo, che sia evento ultraterreno o il risultato straordinario di una pratica medica (e Manfredi ci suggerisce con finezza che tra i due potrebbero esserci connessioni sottili quanto solide). Nino Manfredi trasporta in terra ciociara un’esistenza oscillante tra fede e perdita della fede come in certi film del grande Bergman di qualche anno prima (in primis Luci d’inverno), travolta dalla paura di essere abbandonati in un mondo desacralizzato. Paradossale ma non troppo che il protagonista si leghi come a un padre sostitutivo a un farmacista laico, framassone, mangiapreti, che inneggia a Satana anziché a Cristo. Ma è solo la messa in scena di un altro tema religioso, quello del mondo conteso tra luce e tenebre, tra Dio e il suo antagonista. Nel culto dei santi della Ciociaria di Manfredi (che meraviglia visiva quella processione) riemergoni visioni gnostiche, archetipi millenari. Incredibile come in Per grazia ricevuta Mafredi sia riuscito a coniugare cinema popolare e un pensiero di tale complessità. Da rivedere assolutamente.

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