In sala. PATAGONIA, un film di Simone Bozzelli (recensione). Storia di Yuri e Ago

Patagonia, un film di Simone Bozzelli. Con Andrea Fuorto, Augusto Mario Russi, Elettra Dallimore Mallaby, Alexander Benigni. Voto 7
Recensione scritto dopo la proiezione, in concorso, di Patagonia al Locarno Film Festival 2023.
29 anni, con alle spalle il Centro sperimentale e il NABA di Milano, Simone Bozzelli è uno di quegli autori giovani che stanno ridisegnando la mappa del nostro cinema, non così disastrato come lo si dipinge (e però ancora lontano anni luce da quello francese e dalla sua capacità di produrre senza tregua e di sperimentare nuove forme, nuove estetiche). Di lui avevo visto l’assai bello J’ador (di cui ritroviamo più di qualcosa in Patagonia, le regole ambigue dell’attrazione per esempio), vincitore qualche anno fa se ben ricordo come migliore corto italiano alla Settimana della critica di Venezia, premio che lo ha posto all’attenzione di critici e non solo. Poi, per Bozzelli, è arrivato il gran riverbero mediatico grazie al video di I Wanna Be Your Slave dei Maneskin. Adesso eccolo a Locarno in concorso con questo primo lungometraggio. Che nonostante certe irresolutezze e ridondanze di messinscena è un esordio notevole che rivela una già riconoscibile e personale impronta stilistica, anche se non mancano reminiscenze, derivazioni da altro cinema soprattutto italiano.
Storia di Yuri, un ragazzo di vent’anni dolce e naïf, eternamente stupefatto, probabilmente orfano, che vive con le zie proprietarie di una macelleria nell’entroterra abruzzese (Bozzelli è nato a Silvi, provincia di Teramo, credo che quelli del film siano posti che conosce bene). Lo hanno messo alla cassa, ma lui non è così sveglio, fare i conti non gli riesce tanto bene, forse soffre di un deficit cognitivo, forse è quello che certi psicologi classificherebbero alla voce Asperger, autismo blando. A risvegliarlo è Ago(stino), animatore girovago ingaggiato in loco per una festa di compleanno di bambini e arrivato con il suo camper carico di palloncini, truccherie, giocattolerie varie, false magie. È sveglio, tatuato, piercingato, abile con gli infanti, abile venditore di sé stesso, dotato di un fascino lumpenproletario e ferino cui Yuri soggiace subito. Ago intuisce che Yuri è in cerca di qualcuno che lo liberi, sicché lo invita a seguirlo, a fargli da assistente. Yuri lascia le zie, la macelleria, il paese, sale sul camper di Ago, sarà il suo complice, braccio destro, amante. Tutto all’inizio gli sembra fiabesco, conoscerà più tardi i lati oscuri di quella vita sradicata e (apparentemente) liberata e al centro della zona d’ombra c’è Ago. Yuri lo ama, ma Ago è elusivo, sfuggente. Succede che Ago decida con il suo camper di fermarsi in un accampamento di case mobili, una specie di Nomadland centroitaliana, gente ai margini dalla vita fluida, dai mestieri strani come vendere animali nelle fiere, dedita in gran parte all’uso di sostanze alteranti, amanti di rave fracassoni dallo sballo facile. C’è anche ua donna con un bambino di cui Agostino si occupa in modo speciale, intuiamo che lei dev’essere la sua ex o ancora attuale compagna, benché in una relazione assai aperta, e il bambino, Sebastian, il loro figlio. Ma anche qui Bozzelli, fedele più alla pratica dell’allusione e dell’ellissi che a quella dell’esplicito (ed è una delle qualità forti di Patagonia), non ci fornisce spiegazioni, lascia a noi decodificare gli indizi. Yuri è ormai intrappolato in una relazione da dominato a dominante, il partner, superiore a lui per età e sapienza del mondo, si rifiuta di dargli qualunque tipo di certezza, esistenziale, affettiva, lo schiavizza, lo riduce a moglie-casalinga, lo costringe  a occuparsi del piccolo Sebastian mentre lui e la (ex?) compagna se ne vanno in paese a lavorare. Intanto sogna di andare con Ago in Patagonia, l’altrove assoluto.
C’è una scena di sesso tra di loro, meglio di contatto reciproco con emissione di fluidi, tecnicamente una “pioggia dorata” (indovinate chi è l’innaffiatore e chi l’innaffiato?) di cui forse si (stra)parlerà, ma che è invece importante per come svela il rapporto di dominio e sottomissione che intercorre tra Yuri e Ago. L’asse del film è questo, è il rapporto tossico, è la capacità e il coraggio di Bozzelli di indagare tra i recessi di un storia che ha a che fare con il desiderio ma anche molto con il potere (che tra desiderio e potere ci sia sempre una comnessione?). Patagonia mette in scena quella che oggi viene detta famiglia queer, lui, lei, un figlio, e il lui di lui che fa la moglie-casalinga-madre sostitutiva, ma Bozzelli se ne sta lontano da ogni celebrazione ottimistica e dolcificante, dà anzi della famigla queer una versione allarmante dove i vecchi ruoli del patriarcato non solo non vengono divelti, ma vengono paradossalmente potenziati in senso repressivo e costrittivo. Non so quanto questa critica sia consapevole e voluta, certo conferisce al film una densità inaspettata. Un film che sa anche giocare con gli archetipi e i miti riproponendo in Yuri la figura eterna dell’Innocente, come peraltro già in Lazzaro felice di Alice Rohrwacher. E come in molto cinema italiano della tradizione, vedi Miracolo a Milano di De Sica-Zavattini o il Ninetto del Ragazzo dal fiore in bocca di Pasolini. Ma Patagonia intercetta altri temi e caratteri del nostro cinema classico. La fascinazione di Yuri per il girovago Ago è la stessa di tanti provinciali felliniani per la gente del circo e delle giostre, è la stessa della Gelsomina della Strada (un’altra Innocente illustre) per il Matto. Solo che l’angelico Yuri si ritrova oggi tra un’umanità più disincantata e nella relazione con Ago deve affrontare il buio e la crudeltà. Peccato solo che, a fronte di questo coraggio, Bozzelli addolcisca troppo sfondi e contesti. Se la costruzione dell’universo childish, infantiloide, in cui si muove la coppia protagonista è un’invenzione notevole, la sua riproposizione continua e quasi ossessiva, il saturare lo schermo con l’estetica dei palloncini colorati, orsacchiotti, cuori e cuoricini rosa finisce col depotenziare la carica disturbante dell’amore tossico tra Yuri e Ago. Ma Patagonia resta un esordio di tutto rispetto. Grande performance di Andrea Fuorto, l’Innocente, e di Augusto Mario Russi quale luciferino e serpentesco Ago (con molti rimandi a Pinocchio: Ago è insieme il gatto e la volpe, è Lucignolo e l’uomo del carrozzone). I panorami appenninico-abruzzesi sono una meraviglia, la nostra Patagonia.

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