Ma papà ti manda sola? di Peter Bogdanovich (1972), Paramount Channel, ore 23,40. Sabato 24 marzo 2018.
Non se ne parla mai. Non passa quasi mai in tv, neanche di notte. Non credo sia nemmeno nella library Netflix (se qualcuno verifica, grazie). Eppure è uno dei film del periodo aureo di Peter Bogdanovich, partito come reverente cinefilo, critico e studioso di cinema, poi diventato regista in proprio. Con film girati tra fine anni Sessanta e primi Settanta che allora furono giustamente salutati come qualcosa di importante e poi chissà perché dimenticati, rimossi (ci sono le mode e i capricci anche nella cinefilia, come no). Intendo: Targets, L’ultimo spettacolo (una celebrazione, correva l’anno 1971, già nostalgica e malinconica del cinema che era stato, e chiunque il cinema lo ama dovrebbe vederselo e rivederselo), Paper Moon e questo Ma papà ti manda sola?, titolo italiano stupidarello ma non improprio al posto dell’originale What’s Up, Doc? Che a uno sguardo disattento si potrebbe scambiare per il suo film più mainstream e popolare, anche corrivo. Invece. Invece Bogdanovich riprende, come nessun altro prima e come nessun altro dopo di lui (e i tentativi sono stati e sono innumerevoli) modi e stilemi e tic della sophisticated comedy anni Trenta e Quaranta nella sua versione screwball, ovvero pazzariella, picchiatella, squinternata, quasi surreale. Il capolavoro di riferimento resta per lui Susanna! di Howard Hawks, da cui riprende pari pari la coppia della donna-vulcano, della donna-ciclone che travolge e stravolge e fa cadere innamorato, cambiandogli vita e visione del mondo, un probo e timido maschio. E se là erano gli ineguagliabili Katharine Hepburn e Cary Grant, qui sono Barbra Streisand e il Ryan O’Neal reduce da Love Story. Lui è un occhialuto musicologo approdato a San Francisco con la fidanzata per partecipare a un concorso: in palio una ricca prebenda promessa da un bilionario. Ma in hotel la sua traiettoria si incrocia con la survoltata Judy, che perde la testa per l’onesto studioso decidendo che sarà lui l’uomo della vita sua. Scompaginerà la programmata vita del suo uomo-bersaglio e indovinate come andrà a finire. Irresistibili momenti di ordine borghese distrutti dall’irruzione del caos (e della incontenibile Judy), tra Hollywood Party e la comicità slapstick (quel vetro che rischia di essere infranto dai due lanciatisi giù dalle colline di San Francisco). Più altre sottotrame: la prima con due spie imbranate, la seconda con due ladri di gioielli, con scambi fatali di valigie, e anche qui siamo nella citazione classica. Finale con tutti e anche qualcuno di più davanti al giudice, in un omaggio e riproposizione filologica dell’analoga concitata scena di chiusura di Susanna! Spero solo che oggi Ma papà ti manda sola? conservi almeno parte della fragranza di allora. Anche, uno dei primi (inconsapevoli) esprimenti di post-modernità, di citazionismo su grande schermo. Con la scoperta della nostalgia del cinema del passato come materia prima per fabbricare cinema del futuro. Quando Barbra Streisan faceva buoni film e non clonava i suoi cagnolini.
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