El Cid di Anthony Mann, 7Gold, ore 21:15. Lunedì 13 aprile 2020.
“One of the greatest epic films ever made”: così parlò Martin Scorsese in occasion e del re-release in sala – da parte della Miramax dei fratelli Weinstein – di El Cid nel 1993, data che ne segna il rilancio, il recupero, la rivalutazione (e anche il mea culpa) da parte di molta critica che al suo apparire nei pimissimi anni Sessanta l’aveva ignorato o liquidato come il solito colosso per anime ingenue.
Un mio personale culto. Adoro tutti i colossal, i film titanici e fuori formato e ogni misura, prodotti tra fine anni Cinquanta e primi Sessanta in Spagna (dove le masse e in genere la forza lavoro costavano meno) dal produttore Samuel Bronston, un visionario, che ebbe quella stagione di enorme fortuna e poi declinò e scomparve. Aveva la voglia del cinema grande, grandissimo, con predilezione per la grand’opera epica & storica in cui si muovono in primo piano personaggi bigger than life e sulle sfondo le masse. Questo El Cid è uno dei suoi vertici, e uno dei suoi massimi successi (gli altri titoli, altrettanto imperdibili, sono Il re dei re, La caduta dell’impero romano – il più bel peplum di sempre – e 55 giorni a Pechino). Vi si racconta del leggendario Rodrigo Díaz de Bivar ‘El Cid’ che nella Spagna dell’Undicesimo secolo ancora in gran parte occupata dai Mori inizia, pur tra ostacoli di ogni genere, l’opera di reconquista cristiana della penisola. Combatte gli Arabi ma anche tratta con loro se necessario, essendo la mappa geopolitica di quel tempo assai complicata in Spagna, e se la divisione principale era Cristiani di qua e Mori di là, capitava poi che ci fossero alleanze tattiche tra gli uni e gli altri, e che i peggiori nemici magari te li trovassi in casa pronti a colpirti alle spalle. Succede anche al valoroso, limpido El Cid (Charlton Heston, chi se no? l’attore feticcio di Samuel Bronston), promesso sposo di Jimena (Sofia Loren, e già questo), il quale per generosità e clemenza libera un gruppo di mori fatti prigionieri dal padre durante uno scontro. Figuriamoci, malissimo gliene incoglie. Subito dalla corte di Re Ferdinando gli arriva sulla testa l’accusa infamante di tradimento, fomentata soprattutto dalla perfida principessa Urraca (Geneviève Page), innamorato di lui ma da lui disdegnata. Seguiranno altre disavventure per il povero El Cid – soprannome arabo datogli da un moro, ovvero Al Said, signore – fino a un cruento duello che è un’ordalia e che gli ridarà l’onore. Muscolare, poderoso, di ottimi sentimenti, anche ingenuo. Un cinema popolare che non si fa più, che non si può più fare, eppure o proprio per questo meraviglioso. Regia di un transfuga da Hollywood, Anthony Mann, che di lì a poco ritroverà la coppia Charlton Heston-Sofia Loren nel peplum-capolavoro La caduta dell’impero romano.
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