La via lattea di Luis Buñuel, Rai 3/Fuori orario, ore 2:50. Venerdì 5 giugno 2020. Anche su RaiPlay.
Uno dei film del periodo francese del signor Luis, che è anche il suo periodo ultimo (e il più ricco di titoli di risonanza mondiale). La via lattea – uno dei nomi che si son dati al Cammino verso Santiago di Compostela – arriva nel 1969 dopo l’esplosivo Belle de jour, Leone d’oro a Venezia e succès de scandale che fruttò incassi altissimi dappertutto. Ancora prodotto da Serge Silberman, ancora scritto dal fedele Jean-Claude Carrère, abilissimo nel trasporre in lingua e climi francesi l’anarcosurrealismo iberico di Buñuel. Uno dei film più liberi e sperimentali del già liberissimo regista, dove ogni linearità narrativa è frantumata in schegge tutt’altro che impazzite, con escursioni e deviazioni spaziotemporali lungo duemila anni di storia cristiana, anche un film-saggio o film-concept che oggi ci appare profetico e anticipatore di molti futuri (attuali) formati. E che leggerezza nel trattare temi poderosi come la cristianità e le sue eresie e le sue (intoccabili?) icone. L’ho molto amato a suo tempo. E resta uno dei miei Buñuel preferiti, così dandisticamente alieno da ogni compromesso con l’industria cinematografica, così naturalmente e allegramente sovversivo di ogni procedura consolidata. Due pellegrini, uno giovane e uno che giovane non è più, sulla via per Santiago attraverso un pezzo di Francia e di Spagna. Il vecchio è un credente, il giovane si proclama senza fede. Discuteranno dei dogmi ecclesiastici, faranno incontri bislacchi in anfratti della storia della cristianità. Un viaggio che è un attraversamento dell’ortodossie e delle eresie che l’hanno contestata. Dispute e scontri sulle varie dottrine di derivazioni gnostica, sulla natura umana e/o divina di Cristo, sulla santissima trinità. Una delizia. Truci banditi e avvinazzati chiusi in luride taverne a disquisire sottilmente dei nodi più complessi della teologia cristiana, scontri che diventano duelli con lame affilate (e a duellare sono un gesuita e un giansenista sulla predestinazione e la grazia). Un Papa che ha faccia di Luis Buñuel sottoposto a fucilazione. Una Vergine Maria (è l’appena scomparsa Edith Scob, l’indimenticata attrice di Occhi senza volto e Holy Motors) che rimprovera un perplesso Gesù Cristo per quella barba troppo lunga e incolta. Un prete trascinato in manicomio dopo aver litigato con un poliziotto su eucaristia e transustanziazione. A incantarci non è l’abbastanza vecchio e logoro mangiapretismo del vecchio anarchico Luis, ma la grazia con cui afferra e tritura la teologia e ce la serve in forma di narrazione. Cast glorioso, con molti fedeli atori buñueliani e star accorse alla corte di Don Luis: Laurent Terzieff, Alain Cuny, Pierre Clémenti, Delphine Seyrig, Michel Piccoli.
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