(al cinema) recensione: LA FORESTA DEI SOGNI. Delude clamorosamente l’incontro McConaughey-Gus Van Sant

THE SEA OF TREESLa foresta dei sogni (The Sea of Trees), un film di Gus Van Sant. Con Matthew McConaughey, Naomi Watts, Ken Watanabe, Jordan Gavaris. Al cinema da giovedì 28 aprile.
THE SEA OF TREESParte bene, poi deraglia e si schianta, questo nuovo film di un maestro come Gus Van Sant. Che, dopo averci portato dentro la crisi esistenziale di un americano, precipita in una imbarazzante cosmologia new age di anime migranti e varia paccottiglia. Fischiatissimo l’anno scorso a Cannes. Voto 4
THE SEA OF TREESLa solita dilcifiicazione italiana. Il titolo originale sarebbe, fedelmente tradotto, Il mare d’alberi, e la foresta (giapponese) che ci viene mostrata in corso d’opera non è mica dei sogni, piuttosto dei suicidi, degli spettri, degli incubi. Come in un J-horror anni Novanta. Quanto al film, chi era a Cannes l’anno scorso si ricorderà le bordate, anzi la selva, di fischi e buu con cui fu accolto ai vari press screening. La vera sorpresa negativa, la cosa peggiore tra tutte quelle del concorso. Vien da pensare che qualcosa di vero ci sia nella maledizione dell’Oscar, secondo al quale un attore e un’attrice si sia stato premiato con la dorata statuetta la sconti poi, per qualche strano karma o legge compoensatoria, con parecchi insuccessi. Matthew McConaughey, forse il più bravo oggi in circolazione, dopo averlo ottenuto, l’Oscar, per Dallas Buyers Club è incappato clamorosamente in questo infortunio, benché firmato da uno degli autori più importanti degli anni Duemila, Gus Van sant. Pensare che per almeno un’ora GVS ci illude di aver centrato un nuovo grande film. Sì, quel vagare di due uomini, un americano e un giapponese, in quella che chiamano la foresta dei suicidi, là ai piedi del monte Fuji, è un pezzo di cinema incantato e sospeso. Con un Van Sant che senza retorica e trombonismi ecoverdi sa raccontarci le traiettorie di due aspiranti suicidi connettendole malickianamente alla natura e al ciclo cosmico (grazie anche a un montaggio formidabile e fluidissimo di Pietro Scalia). E pure la storia in flashback dell’americano (McConaughey) con la sua partner (Naomi Watts) è di una secchezza e di un rigore inusuali. Poi tutto precipita nell’ultima mezz’ora, in un imbarazzante delirio new age di fiori che sono anime spiranti e migranti, foreste che sono la porta del paradiso, presenze che sono spiriti protettivi e così via, correndo verso il precipizio dell’imbarazzante. L’ultima parte di The Sea of Trees è quanto di peggio si sia visto al cinema da parecchio tempo in qua. Ma perchè? cosa è successo a Gus Van Sant?
THE SEA OF TREES

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