N-Capace, un film scritto, interpretato e diretto da Eleonora Danco. Torino 32 (concorso)
Una giovane donna se ne va in giro per Terracina vestita di bianco a fare L’anima in pena, dispensando pensieri sulla vita, l’arte ecc. Intanto vengono interpellati giovani e vecchi su argomenti vari. In primis il sesso, che piace sempre e scatena invariabilmente qualche sghignazzo nello spettatore: quando l’hai fatto la prima volta? con chi? e lei, signora è arrivata vergine al matrimonio? Insomma, N-Capace – un one-woman-show di Eleonora Danco – non si capisce bene cosa sia, però alla proiezione stampa è piaciuto parecchio e ha suscitato l’applauso. Temo avrà un premio. Voto 5 meno
Il primo film italiano del concorso porta il titolo bizzarro di N-Capace, che immagino stia per non capace, incapace, impedita, ed è un one-woman-show abbastanza sfrenato e narciso. Da parte di una giovane signora, Elonora Danco, che viene dal teatro, un teatro, ci avverte il pressbook, “dove corpo e testo si fondono in un’unica espressione”. Ci siamo capiti no? O non ci siamo capiti, che poi fa lo stesso. Fatto sta che Eleonora Danco si cuce addosso un film tutto suo, dove spadroneggia incontrollata e fa quel che le pare, intervenendo, oltre che come intervistatrice e voce interrogante fuori campo, nella parte, chiamiamola così, di Anima in Pena, cioè una tizia scarmigliata in pigiama bianco o coperta da peplo-lenzuolo sempre candidissimo che se ne va in giro, spesso con letto appresso, per le strade e i campi di Terracina (e un po’ di Roma, m’è parso di capire), parlando e pensando, e inveendo, e tirando fuori frasi e pensierini su di sè, la vita, ecc., che a me sono sembrati di nessun interesse. Una volta Anima in Pena si spoglia e ci appare per un paio di secondo in full frontal in mezzo alla gente. Cose così, ci siamo capiti, che le avanguardie teatrali nostre, soprattutto delle cantine romane, praticano ormai da una cinquantina d’anni. Con un che di più recente, un che di arruffato-esagitato femminil-mediterreno un po’ alla Emma Dante. Cosa sia questo N-Cpace non lo si capisce proprio, e dunque non sforziamoci di capirlo. Un documentario? Un docufiction? Un mockumentary? Un brogliaccio semiautobiografico dove si butta dentro quel che capita? Mah. Però a fine proiezione stampa ha raccolto, unico tra tutti i film del concorso finora, un bel po’ di applausi dei critici, il che mi ha lasciato alquanto interdetto. Poi però ci ho pensato su un attimino e ho realizzato che al di là dell’operazione non intellegibile nella sua struttura (struttura? ma ci sarebbe una struttura?) N-Capace è riuffianissimo e simpaticone, piacionissimo e achiappa-applausi, un’avanguardia de’ noantri al gusto molto pop(olare). Che fa Eleonora Danco oltre che recitare da fantasma vagabonda e farsi domande sulla Vita e l’Arte? Mette insieme memorie personali e di famiglia (Terracina da quanto ho capito è la sua città), un minimo amarcord, andando poi a scovare e interpellare persone di varie età, a partire da suo padre (uomo intelligente e disincantato che cerca di arginare come può le richieste dell’irruente figliola), e poi vecchine evecchini, e ragazzotti e ragazzotte. Per farci capire com’è cambiaa Terracina? com’è cambiato il mondo? comè cambiato il suo mondo? Mah. Ai vecchi fa raccontare di com’era la vita grama allora, ai ragazzi chiede se vanno a scuola (non ci va quasi nessuno), se leggono (nessuno legge niente), cosa sperano di fare in futuro (l’idraulico, il pizzaiolo, il gestore di bische, ecc.). Poi, ecco, le domande di sesso che funzionano sempre, al cinema come nei giornali quando si è a corto di argomenti. Ma lei signora si è sposata vergine? e com’è stata la prima notte di nozze? e suo marito a letto cosa le faceva? E voi ragazzi a che età l’avete fatto la prima volta? e come? con chi? Chiaro che vengono fuori anche cose divertenti, e si sghignazza. però, scusate, tutta questa cosa qui la dobbiamo chiamare cinema? Poi per carità N-Capace verrà salutato come coraggioso esempio di nuovo cinema italiano indipendentei (produce Angelo Barbagallo) e non mainstream. magari un qualche premio qui se lo prenderà, poi girerà in qualche rassegna, un paio di giornali ne scriveranno benissimo, ci sarà qualche intervista, e sarà tutto. Però, scusate, io resto dell’idea che con cose così non si vada da nessuna parte. Scena carina salvabile: il papà (che mostra chiaramente di non reggere quella figlia che gli fa domande intime sulla sua vita e lo costringe a cose che non gli piacciono) messo, come la sua badante Cristina, in in un bianco scafandro spaziale, a suggerire una piccola deriva surreal-demenziale che altrove purtroppo latita.
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